Nuovi segnali di sovraffollamento nelle carceri italiane, la cui popolazione ammonta a 55.000 unità mentre alla fine del 2015 i carcerati erano 52.000. E la capienza massima è stimata a 49.000 detenuti.  La regione  con il più alto numero di persone in carcere è la Lombardia, con 8.000 detenuti (+10% rispetto all’anno precedente). La situazione però non è paragonabile a quella del 2013, quando in carcere c’erano ben 67.000 persone  e l’Unione Europea aveva minacciato 4 miliardi di sanzione se la situazione non fosse cambiata.  Il governo aveva così iniziato una politica volta a sanare il problema: accesso alle misure alternative, la messa alla prova anche per gli adulti per i reati con pene  fino a quattro anni, depenalizzazione del  reato di clandestinità.
Questa recrudescenza del fenomeno del sovraffollamento viene commentata dal CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza) Lombardia, che opera sul territorio con 15 realtà, che seguono almeno 250 detenuti (anche minori e donne) in regime di misure alternative (come l'affidamento).  


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«Una parte significativa di persone che avrebbero potuto uscire sono rimaste in carcere. Molti di loro  sono dei i poveri disgraziati, ammassati e sovraffollati in celle senza nulla, se non la disperazione. Sono perlo più tossici che cercavano droga e stranieri che cercavano cibo o rifugio, ma che hanno trovato davanti a sé solo sbarre. Circa un detenuto su quattro, quando termina la pena, non sa dove andare: i cambiamenti veloci e traumatici della società lasciano sul terreno delle vittime incolpevoli, i poveri, disperati che compiono reati per fame di cibo o di droga. Alle situazioni di sofferenza sociale si aggiungono, in un numero consistente di casi,  le persone in condizioni di sofferenza individuale, spesso, anche in questi casi, provenienti dal carcere trasformato in sostituto degli ospedali psichiatrici. Nei confronti di queste persone il prendersi cura si accompagna necessariamente all’avere cura».
«La situazione può essere ulteriormente migliorata e occorre agire» ammette Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia della Camera, «sulla funzione rieducativa e sul reinserimento dei detenuti, sul lavoro in carcere, sulla certezza della pena e sui tempi del processo, con riforme che sono tutte in campo».