Da torturatore con a carico un mandato d’arresto della Corte penale internazionale ad eroe in patria. In Libia. Dietro la vicenda dell’arresto e dell’immediato rilascio del generale Najem Osema Almasri Habish si potrebbero nascondere le ombre che da anni coprono gli accordi bilaterali tra Italia e Libia sulla gestione dei flussi migratori. Accordi nati con il primo memorandum dell’estate del 2017 quando l’Italia aveva cominciato a fornire alla Libia unità navali e addestrando militari libici per la formazione della guardia costiera libica che oggi impedisce o riporta nei porti di partenza i migranti che tentano la traversata nel Mediterraneo. 

Sabato 18 gennaio la Corte Penale internazionale emette il mandato d’arresto nei confronti del generale Almasri, accusato di aver detenuto migliaia di persone per periodi prolungati in relazione a crimini contro l’umanità e crimini di guerra, inclusi omicidi, torture, abusi e violenza sessuale. Crimini che sarebbero stati commessi nella prigione di Mitiga dal febbraio 2015 ad oggi, commessi da lui stesso o ordinati da lui con la complicità di alcuni componenti del gruppo di polizia governativa Special Deterrence Forces. All’interno venivano imprigionate persone per motivi religiosi, sia cristiani che atei, ma anche per “comportamenti immorali” come nel caso di omosessualità. La Corte penale internazionale sicura della presenza del generale libico in Europa ha trasmesso il mandato di cattura a sei Stati europei tra cui l’Italia. Domenica 19 gennaio Almasri viene arrestato a Torino da agenti della Digos, il generale infatti di ritorno dalla Germania aveva prenotato un albergo ed era andato allo stadio a vedere Juventus-Milan.

Nel momento dell’arresto gli atti sono stati inviati alla Corte d’Appello di Roma -  che è competente in materia di cooperazione -  e alla Corte internazionale. Il generale Almasri viene però scarcerato e riportato  a Tripoli con un I-Carg italiano. Il governo italiano attribuisce il caso a un errore procedurale, in quanto la legge stabilisce che la cooperazione con la Corte, anche in materia di consegna del ricercato, avviene sempre tramite il ministro della Giustizia, a cui spetta “ricevere le richieste provenienti dalla Corte e di darvi seguito”, avvalendosi eventualmente della collaborazione degli altri ministri (in particolare, in caso di richiesta di arresto e consegna di un ricercato, del ministro dell’Interno). La società civile e il mondo politico chiede chiarezza. Come mai il generale ricercato con un mandato di arresto della Corte penale internazionale è stato scarcerato, espulso e rimandato a casa? Chi risponderà di quei crimini?