Quando la malattia arriva, ruvida e silenziosa, non guarda né al momento né all’età. Di colpo cambia la vita di ogni giorno, fa diventare un letto d’ospedale casa e famiglia. Genitori e parenti si trasferiscono in corsia, ma poco dopo, come se nulla fosse successo, arrivano dalla quotidianità anche libri, quaderni e professori. «Dal 1994 insegno ai ragazzi delle medie ricoverati nell’ospedale San Gerardo di Monza, quest’anno ho circa trenta alunni. Nella struttura ce ne sono complessivamente circa 150-200. La scuola è composta da una sezione di primaria con due insegnanti, una di secondaria di primo grado, con tre insegnanti, una di secondaria di secondo grado con una docente che coordina il coinvolgimento di molti professori delle scuole superiori del territorio, di varie discipline, che hanno dato la loro disponibilità».
Flavia Tarquini insegna scienze matematiche chimiche fisiche e naturali nella scuola in ospedale dell’Istituto Comprensivo “Salvo D’Acquisto” di Monza presso l’Ospedale S. Gerardo - Fondazione Monza Brianza per il Bambino e la sua Mamma. L’esperienza monzese è antica, risale al 1980 con l’apertura della sezione elementare. Oggi il servizio è presente nei reparti di day hospital, pediatria, centro trapianti. La professoressa racconta partecipe la sua esperienza pluriennale: «È un lavoro d’equipe: una volta a settimana abbiamo una riunione con l’assistente sociale, lo psicologo e il medico. Le lezioni sono spesso individuali per necessità, solo qualche volta ci sono dei laboratori nel piccolo gruppo come quello in cui si riunisce la redazione del nostro giornale, “Il piccolo notiziario”. E i piani di studio sono personalizzati: si cerca di mantenere il rapporto con la scuola di appartenenza del ragazzo, anche collegandosi in videoconferenza con le classi d’origine. Il nostro obiettivo non è quello di promettere il futuro, ma di farlo vivere nel presente. È un’esperienza che arricchisce molto, gli alunni ci insegnano tanto e noi abbiamo da imparare da loro».
La scuola in ospedale in Italia nasce intorno agli anni ’50, quando in alcuni reparti pediatrici vengono aperte delle sezioni speciali per dare un sostegno didattico ai piccoli pazienti e rendere più semplice il loro rientro nella classe di provenienza. Solo nel 1986, però, una circolare ministeriale ratifica la nascita delle sezioni scolastiche all’interno degli ospedali e ne sancisce il carattere “normale”: sono sezioni staccate di una scuola che sta sul territorio. Nell’anno scolastico 2010-2011 sono stati 77.803 gli studenti italiani coinvolti nelle sezioni ospedaliere. Un diritto allo studio garantito a ciascun malato anche in ospedale, che si affianca all’intervento a domicilio che prevede invece l’approvazione di uno specifico progetto da parte dell’istituto di provenienza del minore che non può frequentare la scuola per almeno 30 giorni e gli si garantisce così di essere seguito direttamente a casa da uno o più docenti della sua scuola.
In Lombardia la scuola in ospedale (31 istituzioni scolastiche coinvolte, 26 aziende ospedaliere, 89 insegnanti di scuola d’infanzia, primaria e secondaria) ha aperto le porte anche alla sperimentazione di nuove tecnologie multimediali: «Dalla scorsa settimana 15 docenti usano gli iPad e negli ospedali il registro è informatizzato», spiega Bruna Baggio dell’Ufficio scolastico regionale, referente lombarda per la scuola in ospedale e l’istruzione domiciliare. Un quadro dettagliato della situazione presente sul territorio è illustrato nel recente volume La lavagna sul comodino. Scuola in ospedale e istruzione domiciliare nel sistema lombardo a cura di Pier Cesare Rivoltella e Morena Modenini, nato in collaborazione con il CREMIT (Centro di Ricerca sull'Educazione ai Media, all'Informazione e alla Tecnologia) dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
«Svolgiamo il nostro canonico orario di servizio, organizzandoci in modo da garantire anche la copertura al pomeriggio», spiega Denis Ruggeri, docente di informatica dell’ITI Castelli (Istituto istruzione superiore) presso la scuola in ospedale degli Spedali Civili di Brescia. «Occorre stabilire un forte patto educativo con lo studente in un momento di debolezza, in un mondo fatto di malattia. Il lavoro è personalizzato, un vestito fatto su misura. Noi docenti cerchiamo di non andare oltre un certo limite, esistono figure specializzate come gli psicologi, ma il coinvolgimento empatico è molto forte. Due anni fa tre ragazzi non ce l’hanno fatta, è stato un duro colpo. Degli adolescenti colpisce l’approccio nei confronti della vita: nelle patologie più serie è come se togliessero tutti i fronzoli per riscoprire i valori essenziali dell’esistenza» .
Elena Crespi, docente di Lettere dell’IC Ilaria Alpi di Milano, che segue anche alcune allieve all’Ospedale San Paolo del capoluogo lombardo ricoverate a causa di disturbi alimentari aggiunge: «Vediamo i ragazzi nella loro fragilità, ma ci appaiono come una risorsa. A volte poi, anche noi che frequentiamo corsi di formazione per fare questa particolare esperienza non riusciamo a finalizzare la sofferenza, vorremmo fare di più ma ci è impossibile. In realtà siamo chiamati soprattutto a una cosa: insegnare in ospedale ciò che in quel momento stanno imparando in classe i compagni. Si fanno le stesse cose anche se si ha una flebo in un braccio. Abbiamo, per i piccoli pazienti, un grande valore: rappresentiamo uno scampolo di normalità, l’unico in un contesto assolutamente anormale».
La lavagna sul comodino è un toccante documentario (di 24 minuti) dedicato all'esperienza lombarda della "scuola in ospedale". I ragazzi ricoverati, i loro genitori, gli insegnti raccontano come la frequenza della scuola, anche se in ospedale, può rappresentare un modo per combattere il disagio e il dolore della malattia.
«Pensate a vostro figlio, al resto pensiamo noi». Il motto dell’Ospedale Bambino Gesù, con sede principale a Roma e un network di ospedali pediatrici in Italia che ne fanno il polo di riferimento più importante del nostro Paese, significa attenzione costante a tutto ciò che può rendere meno traumatico il ricovero e la cura di un minore. Per questo, da tempo, l'Ospedale ha sviluppato una rete di iniziative per supportare le famiglie dei bambini ricoverati. La cosiddetta "terapia dell'accoglienza", che viene presentata in modo organico l'11 febbraio, in occasione della Giornata del malato, è più di una semplice serie di servizi. Si tratta di prendersi in carico non solo la malattia, ma tutto ciò che circonda il minore. Rendendo a lui meno difficile l'ospedalizzazione e le cure e offrendo ai genitori appoggio logistico e morale perché il momento della malattia possa servire a consolidare i legami familiari. Il primo aiuto è per l'emergenza alloggiativa. Chi arriva da fuori Roma può contare su una ventina di strutture, su un centinaio di stanze in alberghi a titolo gratuito e su altre in regime convenzionato. Nel 2012, con questo sistema, è stato possibile accogliere gratuitamente oltre 4.500 famiglie (circa 13.500 persone) per un totale di oltre 100.000 notti all’anno. Altre 65 famiglie del Sud Italia sono state accolte con la cosiddetta modalità "Red Carpet", vale a dire con organizzazione del ricovero e rientro a casa per le famiglie inviate. A questo servizio si affianca quello degli Angeli custodi, con servizio di mediazione culturale in 90 lingue, per guidare i pazienti che arrivano da più lontano. Per i non italiani si aggiunge anche uno sportello per aiutare nelle pratiche per i ricoveri e per la consulenza amministrativa. Tra le numerosissime iniziative anche quella delle ludoteche con attività di art therapy, pet therapy, coach therapy, kids kicking cancer.
Le novità della terapia dell'accoglienza riguardano poi la creazione della Casa della cicogna, per le mamme che allattano mentre hanno i piccoli nelle terapie intensive, la sala Il cielo in una stanza, dove le mamme possono dedicarsi a varie attività con i loro bambini mentre pannelli con le stelle danno serenità all'ambiente, e la stanza delle emergenze per ogni tipo di esigenza.
Per ricreare il più possibile uno spazio di normalità, l'ospedale ha pensato anche a una sala con un parrucchiere, una piccola palestra per le mamme, la lavanderia. In sostanza, la terapia dell'accoglienza interviene in tutti gli aspetti non clinici. Perché per curare c'è bisogno, oltre che di medicine e operazioni, anche di tanta attenzione e amore.
Flavia Tarquini insegna scienze matematiche chimiche fisiche e naturali nella scuola in ospedale dell’Istituto Comprensivo “Salvo D’Acquisto” di Monza presso l’Ospedale S. Gerardo - Fondazione Monza Brianza per il Bambino e la sua Mamma. L’esperienza monzese è antica, risale al 1980 con l’apertura della sezione elementare. Oggi il servizio è presente nei reparti di day hospital, pediatria, centro trapianti. La professoressa racconta partecipe la sua esperienza pluriennale: «È un lavoro d’equipe: una volta a settimana abbiamo una riunione con l’assistente sociale, lo psicologo e il medico. Le lezioni sono spesso individuali per necessità, solo qualche volta ci sono dei laboratori nel piccolo gruppo come quello in cui si riunisce la redazione del nostro giornale, “Il piccolo notiziario”. E i piani di studio sono personalizzati: si cerca di mantenere il rapporto con la scuola di appartenenza del ragazzo, anche collegandosi in videoconferenza con le classi d’origine. Il nostro obiettivo non è quello di promettere il futuro, ma di farlo vivere nel presente. È un’esperienza che arricchisce molto, gli alunni ci insegnano tanto e noi abbiamo da imparare da loro».
La scuola in ospedale in Italia nasce intorno agli anni ’50, quando in alcuni reparti pediatrici vengono aperte delle sezioni speciali per dare un sostegno didattico ai piccoli pazienti e rendere più semplice il loro rientro nella classe di provenienza. Solo nel 1986, però, una circolare ministeriale ratifica la nascita delle sezioni scolastiche all’interno degli ospedali e ne sancisce il carattere “normale”: sono sezioni staccate di una scuola che sta sul territorio. Nell’anno scolastico 2010-2011 sono stati 77.803 gli studenti italiani coinvolti nelle sezioni ospedaliere. Un diritto allo studio garantito a ciascun malato anche in ospedale, che si affianca all’intervento a domicilio che prevede invece l’approvazione di uno specifico progetto da parte dell’istituto di provenienza del minore che non può frequentare la scuola per almeno 30 giorni e gli si garantisce così di essere seguito direttamente a casa da uno o più docenti della sua scuola.
In Lombardia la scuola in ospedale (31 istituzioni scolastiche coinvolte, 26 aziende ospedaliere, 89 insegnanti di scuola d’infanzia, primaria e secondaria) ha aperto le porte anche alla sperimentazione di nuove tecnologie multimediali: «Dalla scorsa settimana 15 docenti usano gli iPad e negli ospedali il registro è informatizzato», spiega Bruna Baggio dell’Ufficio scolastico regionale, referente lombarda per la scuola in ospedale e l’istruzione domiciliare. Un quadro dettagliato della situazione presente sul territorio è illustrato nel recente volume La lavagna sul comodino. Scuola in ospedale e istruzione domiciliare nel sistema lombardo a cura di Pier Cesare Rivoltella e Morena Modenini, nato in collaborazione con il CREMIT (Centro di Ricerca sull'Educazione ai Media, all'Informazione e alla Tecnologia) dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
«Svolgiamo il nostro canonico orario di servizio, organizzandoci in modo da garantire anche la copertura al pomeriggio», spiega Denis Ruggeri, docente di informatica dell’ITI Castelli (Istituto istruzione superiore) presso la scuola in ospedale degli Spedali Civili di Brescia. «Occorre stabilire un forte patto educativo con lo studente in un momento di debolezza, in un mondo fatto di malattia. Il lavoro è personalizzato, un vestito fatto su misura. Noi docenti cerchiamo di non andare oltre un certo limite, esistono figure specializzate come gli psicologi, ma il coinvolgimento empatico è molto forte. Due anni fa tre ragazzi non ce l’hanno fatta, è stato un duro colpo. Degli adolescenti colpisce l’approccio nei confronti della vita: nelle patologie più serie è come se togliessero tutti i fronzoli per riscoprire i valori essenziali dell’esistenza» .
Elena Crespi, docente di Lettere dell’IC Ilaria Alpi di Milano, che segue anche alcune allieve all’Ospedale San Paolo del capoluogo lombardo ricoverate a causa di disturbi alimentari aggiunge: «Vediamo i ragazzi nella loro fragilità, ma ci appaiono come una risorsa. A volte poi, anche noi che frequentiamo corsi di formazione per fare questa particolare esperienza non riusciamo a finalizzare la sofferenza, vorremmo fare di più ma ci è impossibile. In realtà siamo chiamati soprattutto a una cosa: insegnare in ospedale ciò che in quel momento stanno imparando in classe i compagni. Si fanno le stesse cose anche se si ha una flebo in un braccio. Abbiamo, per i piccoli pazienti, un grande valore: rappresentiamo uno scampolo di normalità, l’unico in un contesto assolutamente anormale».
Per informazioni generali sulla "scuola in ospedale" si rimanda al sito: http://pso.istruzione.it/
Per dettagli sulla realtà lombarda: www.hshlombardia.it e in particolare www.scuolainospedalemonza.it; http://www.websupporto.it/seminario; www.icilariaalpi.it .
La lavagna sul comodino è un toccante documentario (di 24 minuti) dedicato all'esperienza lombarda della "scuola in ospedale". I ragazzi ricoverati, i loro genitori, gli insegnti raccontano come la frequenza della scuola, anche se in ospedale, può rappresentare un modo per combattere il disagio e il dolore della malattia.
«Pensate a vostro figlio, al resto pensiamo noi». Il motto dell’Ospedale Bambino Gesù, con sede principale a Roma e un network di ospedali pediatrici in Italia che ne fanno il polo di riferimento più importante del nostro Paese, significa attenzione costante a tutto ciò che può rendere meno traumatico il ricovero e la cura di un minore. Per questo, da tempo, l'Ospedale ha sviluppato una rete di iniziative per supportare le famiglie dei bambini ricoverati. La cosiddetta "terapia dell'accoglienza", che viene presentata in modo organico l'11 febbraio, in occasione della Giornata del malato, è più di una semplice serie di servizi. Si tratta di prendersi in carico non solo la malattia, ma tutto ciò che circonda il minore. Rendendo a lui meno difficile l'ospedalizzazione e le cure e offrendo ai genitori appoggio logistico e morale perché il momento della malattia possa servire a consolidare i legami familiari. Il primo aiuto è per l'emergenza alloggiativa. Chi arriva da fuori Roma può contare su una ventina di strutture, su un centinaio di stanze in alberghi a titolo gratuito e su altre in regime convenzionato. Nel 2012, con questo sistema, è stato possibile accogliere gratuitamente oltre 4.500 famiglie (circa 13.500 persone) per un totale di oltre 100.000 notti all’anno. Altre 65 famiglie del Sud Italia sono state accolte con la cosiddetta modalità "Red Carpet", vale a dire con organizzazione del ricovero e rientro a casa per le famiglie inviate. A questo servizio si affianca quello degli Angeli custodi, con servizio di mediazione culturale in 90 lingue, per guidare i pazienti che arrivano da più lontano. Per i non italiani si aggiunge anche uno sportello per aiutare nelle pratiche per i ricoveri e per la consulenza amministrativa. Tra le numerosissime iniziative anche quella delle ludoteche con attività di art therapy, pet therapy, coach therapy, kids kicking cancer.
Le novità della terapia dell'accoglienza riguardano poi la creazione della Casa della cicogna, per le mamme che allattano mentre hanno i piccoli nelle terapie intensive, la sala Il cielo in una stanza, dove le mamme possono dedicarsi a varie attività con i loro bambini mentre pannelli con le stelle danno serenità all'ambiente, e la stanza delle emergenze per ogni tipo di esigenza.
Per ricreare il più possibile uno spazio di normalità, l'ospedale ha pensato anche a una sala con un parrucchiere, una piccola palestra per le mamme, la lavanderia. In sostanza, la terapia dell'accoglienza interviene in tutti gli aspetti non clinici. Perché per curare c'è bisogno, oltre che di medicine e operazioni, anche di tanta attenzione e amore.


