«Il profumo del Natale dei miei ricordi è quello sprigionato dalle bucce dei mandarini». A raccontare è Gianfranco Vissani, chef e gastronomo, oltreché autore di libri e intrattenitore televisivo, uno che di sapori è massimo intenditore. Abbiamo chiacchierato con lui in una delle poche pause concesse dai suoi impegni e dalla gestione del suo ristorante di Civitella del Lago (Tr), già 2 stelle Michelin, uno dei migliori d’Italia.
Ascoltiamo affascinati Vissani. Per lui, il sapore della cucina delle feste di un tempo è un elenco d’immagini che sorprendono, perché riescono a trasportarci in una cascina della campagna umbra, in mezzo ai suoi, una grande famiglia patriarcale. «A Natale, papà andava al suo solito bar e lì comprava il torrone più grande e più bello. Poi si faceva la pizza bianca sotto la brace, con i soldi dentro. Nella fetta potevi trovarci una monetina. Piatto povero, ma con dentro tutto il sentimento della festa».
– Ci descrive il menù di Natale a casa vostra?
«Mamma, che è ancora una grande cuoca e mio riferimento per i piatti di tradizione, cucinava il cappone. Nel brodo si cuocevano i cappelletti. Poi salumi, coratella d’agnello, patate schiacciate nell’olio d’oliva...».
– La ricetta natalizia più speciale?
«La pasta dolce, piatto tipico della Vigilia umbra, un primo che pare un dessert, perché condito con cannella, noci tritate, limone, pangrattato, cacao in polvere».
– Ci lascia un ultimo ricordo?
«Gli uomini che incontravi per strada al paese, con al collo la corona di salsicce, a mo’ di collana, da portare alla grigliata. Si andava dove c’era più gente. Le relazioni erano strette una volta. Oggi, ci si torna a incontrare nelle case, un modo di festeggiare nell’intimità, visto che la vita, specie nelle grandi città, ci divide. Il Natale è l’occasione per riscoprire insieme le ricette d’un tempo. Questa festa, per me, deve avere sapore di antico».
Ascoltiamo affascinati Vissani. Per lui, il sapore della cucina delle feste di un tempo è un elenco d’immagini che sorprendono, perché riescono a trasportarci in una cascina della campagna umbra, in mezzo ai suoi, una grande famiglia patriarcale. «A Natale, papà andava al suo solito bar e lì comprava il torrone più grande e più bello. Poi si faceva la pizza bianca sotto la brace, con i soldi dentro. Nella fetta potevi trovarci una monetina. Piatto povero, ma con dentro tutto il sentimento della festa».
– Ci descrive il menù di Natale a casa vostra?
«Mamma, che è ancora una grande cuoca e mio riferimento per i piatti di tradizione, cucinava il cappone. Nel brodo si cuocevano i cappelletti. Poi salumi, coratella d’agnello, patate schiacciate nell’olio d’oliva...».
– La ricetta natalizia più speciale?
«La pasta dolce, piatto tipico della Vigilia umbra, un primo che pare un dessert, perché condito con cannella, noci tritate, limone, pangrattato, cacao in polvere».
– Ci lascia un ultimo ricordo?
«Gli uomini che incontravi per strada al paese, con al collo la corona di salsicce, a mo’ di collana, da portare alla grigliata. Si andava dove c’era più gente. Le relazioni erano strette una volta. Oggi, ci si torna a incontrare nelle case, un modo di festeggiare nell’intimità, visto che la vita, specie nelle grandi città, ci divide. Il Natale è l’occasione per riscoprire insieme le ricette d’un tempo. Questa festa, per me, deve avere sapore di antico».


