Della piccola chiesa ortodossa di San Michele Arcangelo, nella comunità rurale di Komyshuvaha, nella regione di Zaporizhzhia, a pochi minuti di auto dalla città, è rimasto un grande cumulo di macerie. A lato della chiesa, la statua del Crocifisso, rimasta intatta dopo il bombardamento della notte, si erge in mezzo al prato, a ricordare che in questa terra martoriata, nonostante tutto, è Pasqua. «Cristo è risorto. È veramente risorto», è il saluto che tutti in questi giorni si scambiano di tradizione. Lo fanno anche i soldati ai checkpoint lungo la strada, appena fuori da Zaporizhzhia, in direzione della linea del fronte.

In un momento in cui nell’Est del Paese l’offensiva russa si fa più stringente e serrata e le forze ucraine preparano una grande controffensiva, nella notte tra il 15 e il 16 aprile - la celebrazione della Pasqua ortodossa (che ricorre una settimana dopo quella cattolica di rito latino) - le forze di Mosca hanno sferrato un massiccio attacco missilistico su più fronti. Non c’è tregua in Ucraina neppure nei giorni della festività. Anzi, forse proprio nel periodo pasquale Mosca ha voluto lanciare con forza un chiaro avvertimento: nulla può fermare la Russia. E lo scontro si fa sempre più duro. Nella città di Donetsk, occupata dai russi, le forze ucraine hanno colpito il centro, nei pressi della Cattedrale della Trasfigurazione. Nella regione di Zaporizhzhia, la città sede della centrale nucleare più grande d’Europa ora controllata dai russi, la comunità di Komyshuvaha, a meno di venti chilometri dalla linea del fronte, è stata bersaglio di sei missili di Mosca, che hanno colpito le case degli abitanti. Uno ha centrato e distrutto la piccola chiesa. Poco più avanti, dall’altra parte della strada, la biblioteca pubblica è stata gravemente danneggiata, ma all’interno – guardando attraverso le grate delle finestre - gli scaffali dei libri sono rimasti quasi intatti.

Il sindaco di Komyshuvaha, Yuri Karapetyan, 47 anni, mostra sul telefonino le foto delle ore subito successive all’attacco, quando hanno recuperato e portato via i quadri e le icone della chiesa rimasti quasi integri. «Qui da noi ci sono stati dei feriti, a causa dei vetri delle finestre e delle schegge, ma per fortuna nessuna vittima», spiega a Famiglia Cristiana. «Come municipio avevamo vietato le celebrazioni della Pasqua nella chiesa, proprio per motivi di sicurezza. Se ci fosse stata la veglia pasquale, al momento dell’attacco, intorno alle 3 di notte, nella chiesa ci sarebbero state circa 200 persone ancora radunate in preghiera a quell’ora. Invece l’edificio era vuoto. Cancellare la funzione per me è stata davvero un’ispirazione di Dio».



Insieme al capo dell’amministrazione militare della regione di Zaporizhzhia, Oleg Buryak, ci guida attraverso il villaggio per mostrare i segni dei bombardamenti della notte appena trascorsa. Tranquille case di campagna, abitate da popolazione rurale, sventrate dai missili. Un’anziana signora con il volto tumefatto, coperto di ferite, si avvicina lentamente e accenna un sorriso. «Cristo ha lavato le colpe degli uomini con il sangue. Io con queste ferite ho pagato le mie colpe», dice con un filo di voce. Intanto, un suo familiare, forse il figlio, carica la macchina per portare via tutto ciò che è rimasto nella casa e andare via da lì. «Questi attacchi russi sono mere azioni di terrorismo», commentano il sindaco e il capo dell’amministrazione militare. Non hanno obiettivi strategici – spiegano - colpiscono per minacciare, mandare avvertimenti, tenere alte la tensione e la paura. «I primi tempi tanti giornalisti venivano qui», aggiunge Karapetin. «Adesso capiamo che forse l’attenzione mediatica è andata via via un po’ scemando. Ma noi oggi non chiediamo cibo e vestiti. Abbiamo bisogno prima di tutto di armi per vincere militarmente la guerra: deve essere chiaro che noi vogliamo difenderci, non conquistare altri territori che non sono nostri. E abbiamo bisogno dell’informazione, perché il mondo sappia davvero cosa sta accadendo quir».

(La chiesa ortodossa di San Michele Arcangelo in macerie)