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martedì 20 maggio 2025
 
Il blog di Gianfranco Ravasi Aggiornamenti rss Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista

ADELPHÓS: fratello

La sera del 3 ottobre 1226 moriva ad Assisi san Francesco, la cui lode più alta è fatta intonare da Dante da parte del domenicano san Tommaso d’Aquino nel canto XI del Paradiso. Il Papa che porta il suo nome ha attinto a un suo scritto per intitolare la sua enciclica Fratelli tutti (2020), dedicata appunto alla fraternità cristiana e universale, ed è questa la parola greca che abbiamo scelto, adelphós, «fratello», presente ben 343 volte nel Nuovo Testamento. Alcuni ricorderanno che don Zeno Saltini aveva scelto come nome per la sua comunità «Nomadelfia», che in greco significa una realtà la cui legge (nómos) è l’adelphía, cioè la «fraternità». Osserviamo anche che nel Nuovo Testamento per 26 volte è citato pure il termine adelphê, «sorella».

Non mancano certamente i fratelli e le sorelle carnali. Il caso più complesso è quello dei «fratelli e sorelle di Gesù». Nota è la frase ironica dei nazaretani: «Non è costui il falegname, figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?» (Marco 6,3). In verità, nel mondo semitico i termini in questione indicavano una gamma piuttosto varia di relazioni parentali, per cui storicamente non è possibile delineare il legame di parentela di questi «fratelli e sorelle» di Gesù.

La tradizione cristiana successiva li ha considerati semplici cugini, ribadendo per questa via la verginità di Maria. Forse l’espressione indicava genericamente il clan parentale di Gesù, senza specificarne i gradi di connessione, un gruppo dotato comunque di un certo potere nella Chiesa delle origini, come ad esempio si era verificato con «Giacomo fratello del Signore» (Galati 1,19), considerato il capo della Chiesa di Gerusalemme negli Atti degli apostoli (12,17; 15,13; 21,18) e al quale è attribuita l’omonima Lettera apostolica.

Il valore dominante della parola adelphós è, però, nel Nuovo Testamento di indole più spirituale ed ecclesiale. Gesù stesso, «girando lo sguardo su quelli che erano attorno a lui» e che ascoltavano la sua parola, esclama: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Marco 3,31-35). Anzi, lo stesso Cristo giudice non esita a chiamare suoi «fratelli più piccoli» gli affamati, gli assetati, gli stranieri, i nudi, i malati e i carcerati (Matteo 25, 31-46). E la missione di Pietro è quella di «confermare i fratelli» nella fede (Luca 22,32).

Ma è soprattutto san Paolo – che nelle sue sette Lettere maggiori usa ben 113 volte l’appellativo «fratelli» – a esaltare le varie dimensioni della fraternità cristiana. Certo egli ricorda che gli Ebrei sono suoi «fratelli secondo la carne», ossia per appartenenza etnico-nazionale (Romani 9,3), così come assegna a più riprese questo titolo anche al suo prossimo in senso generale. Ma fondamentale è l’appellativo rivolto ai membri delle varie Chiese a cui indirizza le sue Lettere, «fratelli amati da Dio /dal Signore». Alla radice di questo vincolo fraterno ecclesiale c’è ovviamente la persona di Cristo, «primogenito tra molti fratelli» (Romani 8,29).

A questo punto è naturale lasciare la parola conclusiva all’evangelista Giovanni, il cantore dell’amore cristiano. Egli a più riprese, sia nei discorsi di Gesù nell’ultima cena, sia nella sua Prima Lettera celebra questa fraternità che unisce i credenti in Cristo. Ecco solo qualche eco della sua voce che risuona in questo suo scritto: «Chi ama suo fratello, rimane nella luce… Chi odia suo fratello è nelle tenebre… Chiunque odia il suo fratello è omicida… [Come Cristo] anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli... Infatti chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (2,10-11; 3,15-16; 4,20-21).

 


29 settembre 2022

 
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