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martedì 30 maggio 2023
 
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Cardinale arcivescovo e biblista

ALÉTHEIA: verità, rivelazione

Questa volta proponiamo una parola che è spesso sulle labbra di tutti: verità. Lo scrittore russo Anton Cechov ironizzava: «Si dice che la verità trionfa sempre, ma questa non è una verità». San Tommaso d’Aquino aveva definito la verità come l’«adeguarsi dell’intelletto con la realtà», cercando in tal modo di fondare l’oggettività della verità conosciuta dall’uomo. Ma, quando si parla di verità nella Bibbia, veniamo condotti in un altro orizzonte, a partire già dal vocabolo ebraico più comune per definirla, ’emet, già da noi spiegato quando abbiamo proposto le parole anticotestamentarie più importanti. Esso, infatti, rimanda piuttosto all’idea di «fiducia» e di «fedeltà»: è vero ciò che Dio attesta con la sua parola e la sua autorità.

Lo stesso vale per il Nuovo Testamento, soprattutto nel quarto Vangelo che ama questo vocabolo. Ora, il termine greco per indicare la verità è alétheia, che letteralmente significa «svelare ciò che è nascosto»: il vero è, quindi, la realtà svelata, è la scoperta dell’essere profondo insito a ogni cosa e in questa linea s’è mossa la riflessione filosofica greca. Ci può essere, perciò, la tentazione di intendere in senso «greco» e «metafisico» le dichiarazioni giovannee di Gesù sulla verità e tutte le altre ricorrenze della parola alétheia nel Nuovo Testamento (109 in tutto). Pensiamo, ad esempio, a quella celebre frase pronunziata durante la festa ebraica delle Capanne in polemica con «quei Giudei che avevano creduto in lui» ma che ben presto si sarebbero da lui dissociati: «La verità vi farà liberi» (Giovanni 8,32). Oppure riferiamoci a quella dichiarazione, altrettanto celebre, rivolta alla donna samaritana: «I veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità» (4,23). Ora, molti hanno interpretato queste e altre affermazioni in chiave spiritualista o intellettualista alla maniera greca classica. La strada interpretativa corretta è, invece, un’altra.

L’evangelista, infatti, usa quel vocabolo greco echeggiando sempre la matrice biblica che abbiamo sopra descritto e che è molto meno ideologica e più esistenziale. Si vuole piuttosto rimandare all’amore di Dio che si svela e dona il suo mistero profondo, la sua parola e la sua salvezza: questa è la verità che la Scrittura vuole insegnare e che il credente deve, sì, apprendere e conoscere ma soprattutto accogliere e vivere. Non per nulla lo stesso verbo «conoscere» nel linguaggio biblico non è meramente intellettivo ma rimanda alla volontà, alla passione e persino all’azione, al punto tale da indicare anche l’atto sessuale di amore. In questa luce si comprende perché si parli di «fare la verità» (Giovanni 3,21), essendo la verità biblica un impegno vitale, espressione della nostra adesione alla rivelazione della volontà divina. Lo stesso «Spirito di verità» è lo Spirito Santo nella sua missione di far accogliere in pienezza la parola del Vangelo di Cristo che è «via, verità e vita» (14,6).

Il Paraclito nella Chiesa ha, quindi, il compito di far comprendere e vivere la rivelazione di Gesù: «Egli vi guiderà alla verità tutta intera (…), prenderà del mio e ve l’annunzierà» (16,13-14). Come Gesù ha preso dal Padre verità e salvezza e l’ha comunicata a noi, così lo Spirito Santo continua nella storia a effondere la «verità» salvifica di Cristo. Concludiamo con un bel passo della Prima Lettera di san Giovanni che illustra il vero senso della parola alétheia/verità nel Nuovo Testamento: «Non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità. Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità» (3,18-19).

 

 


10 febbraio 2022

 
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