Inviati ad annunciare la pienezza di Cristo

 

[In quel tempo, Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.

Marco 16,15-16

 

Il Mistero dell’Ascensione, grande solennità della Chiesa che si colloca, secondo le testimonianze scritturistiche, a quaranta giorni dalla Risurrezione del Signore, è al centro dell’intera liturgia di oggi: la I lettura (Atti 1) e il Vangelo (Marco 16) ci narrano l’evento storico che celebriamo e, insieme al Responsorio (Salmo 46) e alla II lettura (Efesini 4), ce ne offrono l’orizzonte teologico: può presentarsi la tentazione di vivere questo giorno come un distacco doloroso, dal momento che, con oggi, si compie il tempo storico di Gesù, Dio Figlio, che è il tempo dei Vangeli, il secondo momento della Rivelazione biblica dopo il primo momento, il tempo di Dio Padre, che si è dispiegato nell'Antico  Testamento. Questa tentazione viene da una cecità che solo Gesù può guarire: non è un caso che il Maestro, nell’epilogo del Vangelo di Marco, «rimproveri gli Undici per la loro incredulità», che è, propriamente, “cecità” e «durezza del cuore», eppure rinnovi su di loro la sua predilezione, inviandoli «in tutto il mondo per proclamare il Vangelo ad ogni creatura» e mettendo nelle loro mani i tesori della salvezza (Marco 16,14-16).

Lungi dal cedere allo scoramento della quotidianità, il salmista ci invita a cogliere la Promessa di compimento che, nonostante la fatica della sofferenza e della morte, oltre tutte le nostre infedeltà, si esprime in questa VII Domenica di Pasqua: «Battete le mani, acclamate Dio con voci di gioia»; Egli «ascende tra le acclamazioni» quale «Re di tutta la terra» (Salmo 46)! L’esegesi paolina ci fa comprendere il significato profondo di questa festa: «Che cosa significa che è asceso, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese per essere pienezza di tutte le cose. Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, o evangelisti, pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede, alla misura della pienezza di Cristo» (Efesini 4,9- 13). L’Ascensione è dunque necessaria premessa alla Pentecoste (cfr. Giovanni 16,7) per inaugurare il terzo momento della Rivelazione, il Tempo glorioso di Dio Spirito e della Chiesa, che continua «tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Matteo 20,28).

È il Cristo, nel suo Corpo umano, con i segni della Passione, che sale al Cielo, primizia della Risurrezione di tutti noi: si rinnova oggi la promessa del compimento della Pasqua di ciascuno, a immagine di Colui che «dopo la sua passione, si mostrò vivo (zònta), con molte prove, durante quaranta giorni», «apparendo, parlando, stando a tavola» (Atti1,3-4). La vita cui si fa riferimento qui è la stessa (zoè) offerta dal Buon Pastore in Giovanni 10,10, la vita nel corpo, chiamato, per la Risurrezione, all’infinito di Dio. Questa vita, data a ciascuno nel tempo, si invola nell’eterno e si lega indissolubilmente, in tutta la liturgia, con la missione: insieme a questa vita ci viene data, «fin dal grembo materno», l’unica chiamata, che viene dall’unico Battesimo, alla «pienezza di Cristo», e la specifica vocazione pensata proprio per noi (cfr. Efesini 4,11), non perché rimaniamo nostalgicamente a «guardare il Cielo» (Atti 1,11), ma perché sappiamo testimoniare quello che abbiamo visto: la Luce che ci ha liberato dalle tenebre, la Vita che ci ha strappati al nemico, l’Amore che ci ha chiamati per nome.