Ho a lungo coltivato il desiderio di scrivere un libro sugli animali nella Bibbia. Mi ha scoraggiato non solo la vasta bibliografia che già esisteva, ma soprattutto l’imponente bestiario presente nelle Sacre Scritture, sia quello classificabile secondo la zoologia, sia quello riconducibile alla mitologia e alla simbologia. Mi sono, così, accontentato di stendere un ampio capitolo di oltre 50 pagine nel volume che ho dedicato nel 2021 alla Bibbia e all’ecologia (Il grande libro del creato, ed. San Paolo). Il titolo che gli avevo assegnato era una sorprendente frase del Salmista: «Uomini e bestie tu salvi, Signore» (36,7).
Scatta, così, una domanda che spesso è stata rivolta a me e ad altri teologi, soprattutto in questo nostro tempo segnato dall’animalismo e dalla sensibilità ai diritti degli animali. Essa può essere formulata col titolo di un saggio di Michel Damien tradotto in italiano da Piemme nel 1987: Un paradiso per gli animali. Un tema caro anche a un noto teologo e scrittore, Paolo De Benedetti (1927-2016) che nel 2007 pubblicò una Teologia degli animali (ed. Morcelliana). Il famoso romanziere francese Victor Hugo scriveva: «A chi è solo, Dio dona un cane. Il cane è la virtù che, non potendo farsi uomo, si è fatta animale».
È per questo che molte persone sperano di aver accanto anche nell’oltrevita quel gatto o quel cane che è stato per anni la loro compagnia terrena. Sulla questione proponiamo ora solo due considerazioni. Innanzitutto sottolineiamo che, pur riconoscendo un legame tra uomini e animali attraverso la vita (in ebraico rûah, «spirito» vitale), la Bibbia ha affermato una netta distinzione qualitativa tra i due soggetti. L’umanità ha, infatti, un particolare statuto che è definito nei primi capitoli della Genesi.
Si pensi al suo essere, nella coppia che si ama e genera, «immagine e somiglianza» divina (1,27) alla dotazione della coscienza morale nella «conoscenza del bene e del male» (cc.2-3), alla funzione di «dare il nome agli animali» (2,19-20), ossia di definire la loro essenza, alla missione di esercitare su di essi
un governo delegato, «dominando sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra» (1,26.28).
Anche l’accettazione della teoria dell’evoluzione della specie umana, come in futuro avremo occasione di spiegare, non è incompatibile con l’affermazione teologica e filosofica della tipicità umana ravvisabile nella coscienza, nell’anima, nelle capacità simboliche e artistiche e così via. Un aspetto minore ma significativo, su cui torneremo in futuro, è anche il dato alimentare che, dopo il diluvio, ovvero nella nostra attuale situazione, ammette un cibo animale (Genesi 9,3), tant’è vero che lo stesso Gesù si nutre di pesce (Luca 24,41-43).
La seconda considerazione vuole, invece, aprire uno spiraglio positivo alla domanda iniziale, ferme restando sia la distinzione di livelli tra uomini e animali, sia l’assenza di indicazioni esplicite. Infatti, san Paolo nel c. 8 della Lettera ai Romani, descrive la redenzione finale non solo come un atto riservato all’umanità, ma destinato anche all’intera creazione. Essa, nella sua pienezza cosmica, zoologica e botanica «sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (8,21). La nostra, in ogni caso, è solo una deduzione implicita e ipotetica, anche sulla scia di quella frase del Salmista che abbiamo citato in apertura.