Nelle domeniche dopo Pasqua la Liturgia propone ai fedeli di contemplare il volto del Risorto. Poiché però non lo possiamo ancora vedere “faccia a faccia”, la pagina evangelica di oggi lo ritrae attraverso l’immagine simbolica della luce del mondo.
Il Vangelo è tratto dal racconto di Giovanni, nel cui Prologo il Cristo veniva già presentato come “luce” («veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo», 1,9); ma è nei capitoli dal 7 al 10 – quelli in cui Gesù si trova a Gerusalemme per la festa delle Capanne – che le parole di Gesù si spiegano meglio: in quella festa, infatti, si ricordava la luce che era la Legge, ricevuta da Israele nel deserto, abitato dagli ebrei nelle capanne. Si pensi al Salmo 119: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino».
Il lezionario di questa domenica ci offre anche un’altra prospettiva sulla luce, a partire dalle batture finali degli Atti degli Apostoli. Paolo, prigioniero a Roma, è lo strumento scelto (cf. Atti 9,15) perché il Vangelo possa giungere anche ai non ebrei. Dopo il suo incontro con Cristo nella via per Damasco, e dopo anni di viaggi, l’Apostolo delle genti è diventato egli stesso luce, riflettendo quella di Gesù, il Signore: il suo instancabile ministero, che ora si svolge mentre egli si trova agli arresti domiciliari, diventa per molti un’occasione per conoscere il Risorto.
La missione di Paolo, svoltasi a Roma in una modalità non certo facile, ci riporta alla mente quei detti di Gesù rivolti ai discepoli, e che si trovano nel Discorso della montagna: «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Matteo 5,14-16).
È bello pensare che se Gesù è la luce vera, anche i suoi discepoli, proprio come Paolo, possono illuminare il mondo. Si noti poi che la forma del verbo usata dal Signore, «voi siete…», non indica quello che essi devono diventare, ma ciò che essi sono già: il rischio semmai è quello di perdere la luminosità nascondendone la fonte.
La forza delle parole di Gesù sulla luce del mondo si comprende ancora di più ricordando che il grande oratore Marco Tullio Cicerone (106–43 a.C.) aveva scritto che era Roma la «luce del mondo intero» (lux orbis terrarum). La storia insegna che la potenza di Roma è durata diversi secoli; ma infine la sua luce – diffusa non solo con la cultura ma anche o soprattutto con le guerre, gli eserciti, il dominio dei popoli – si è spenta.
La Parola di Gesù, invece, risplende ancora ed è luce per tutti coloro che oggi sono in un deserto di tenebre, abitato dai postumi della pandemia, o dalla guerra; splende in tutte quelle zone d’ombra del nostro cuore che non necessitano di luci artificiali, ma di quella che sola è capace di dare vita e sanare le ferite.