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venerdì 11 luglio 2025
 

Domenica 3 novembre 2024 - II dopo la Dedicazione - Tutte le genti chiamate alla salvezza

Nel brano di Luca che ascoltiamo in questa penultima domenica dell’anno liturgico, Gesù si trova nella casa di uno dei capi dei farisei, invitato per il pranzo che normalmente seguiva la preghiera in sinagoga. L’atmosfera non è tranquilla: i farisei lo tengono d’occhio attendendo un qualsiasi passo falso per poterlo attaccare.

Un’improvvisa esclamazione da parte di uno dei commensali fa da apertura all’episodio. Si tratta di un detto noto, che tradisce la convinzione di far parte a pieno titolo della schiera degli eletti. È lo spunto che serve a Gesù per raccontare una nuova parabola che parla di una festa, di invitati maleducati, di poveri beneficati.

Un uomo – non si tratta di un re in questo caso ma di un probabile benestante – organizza un grande ricevimento, senza apparente motivo se non quello di far festa. In occasione dei banchetti, era d’uso nella aristocrazia orientale diramare degli inviti in forma scritta privata per mezzo di servi preposti. A coloro che accettavano l’invito veniva poi fatto un promemoria orale a ridosso dell’evento, sempre inviando la servitù. Spesso accadeva che molti giorni separavano l’invito ufficiale dal successivo richiamo dei servi, ma questa seconda chiamata era comunque considerata pura formalità e cortesia perché, una volta accettato il primo invito, la partecipazione era data quasi scontata. Un rifiuto, con annesse giustificazioni e scuse, andava presentato in prima istanza, immediatamente a seguito dell’invito scritto. Farlo al secondo passaggio dei servi era considerato offensivo e segno di grande scortesia.

Le scuse presentate nella parabola risultano, ovviamente, pretestuose. Ripropongono, forse, le ragioni considerate valide per non partecipare alle guerre, dunque totalmente fuori luogo. Sullo sfondo del racconto, sembra esserci un brano del capitolo 1 del profeta Sofonia nel quale troviamo una forte accusa rivolta ai capi di Israele che hanno smesso di occuparsi di Dio e del suo popolo, per gon arsi solo del loro potere. La parabola critica dunque, con tutta probabilità, una certa concezione dell’elezione di Israele. Gli amici del padrone di casa ricordano proprio le guide del popolo con la loro presunzione di salvezza.

L’ospite è preso dalla collera: il rifiuto degli invitati lo colpisce personalmente e direttamente. Ma la sua determinazione è chiara: la casa va riempita in un modo o nell’altro e l’attenzione ora viene rivolta ai miseri. Di nuovo risuona forte l’annuncio della destinazione del regno di Dio ai poveri. Sembra che per questi ultimi ci sia sempre posto e che nessuno di essi debba rischiare di restare escluso. La constatazione dei posti rimasti liberi spinge il padrone a inviare di nuovo il suo servo, invitandolo a usare per no la forza, non da intendersi come coercizione ma come la dolce e cordiale insistenza di chi vuol convincere un ospite esitante. La conclusione porta con sé un po’ di amaro. Nel fatto che i primi invitati restino fuori, però, non possiamo e non dobbiamo leggere una soddisfazione vendicativa, bensì la constatazione sofferta delle conseguenze di una scelta scellerata.


31 ottobre 2024

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