La lettura evangelica della IV domenica dopo la Pentecoste ci off re un breve passaggio del “Discorso della montagna”. Si tratta, in buona sostanza, di una raccolta di precetti che tratteggiano lo stile di coloro che riconoscono Dio come Padre e cercano di vivere di conseguenza. Prima di off rire tali insegnamenti ai discepoli e alla gente radunata davanti a lui, Gesù si mette al riparo da qualsiasi possibile fraintendimento: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti; non sono venuto ad abolire ma a dare pieno compimento» (Matteo 5,17).
La «pienezza della Legge e dei Profeti» intende raggiungerla con un approccio preciso: la ricerca convinta e radicale dello spirito più autentico che anima gli Scritti degli antichi. Gli stessi suoi discepoli devono esprimere il medesimo slancio, facendosi protagonisti di una «giustizia più grande», distinguendosi dagli scribi e farisei che sembrano accontentarsi di un rispetto formale ed esteriore della Legge mosaica (Matteo 5,20). Perché sia chiara la prospettiva, Gesù dispiega una serie di esempi nei quali presenta alcuni precetti degli antichi proponendone una radicalizzazione con una forma tipica: «Avete inteso che fu detto dagli antichi… Ma io vi dico…».
Tra questi esempi, tradizionalmente chiamati «antitesi », si trova anche quello proposto dalla liturgia di questa domenica. Sebbene i termini delle aff ermazioni di Gesù siano iperbolici (il riferimento al Sinedrio e alla Geenna sono chiaramente sproporzionati), il senso è chiarissimo: Gesù mette sullo stesso piano l’ira o una off esa verbale all’omicidio. Va detto che nel mondo giudaico erano già presenti rifl essioni che andavano nella stessa direzione presa da Gesù, chiedendo ai fedeli un impegno integrale di tutta la loro persona nell’osservanza dei precetti.
Il «luogo» chiave di un simile approccio è ovviamente il cuore, sede non tanto dei sentimenti quanto della volontà e dell’intenzione. Non uccidere ma custodire un cuore colmo di rabbia non può certo essere considerato un modo pieno di vivere la Legge. L’avvertimento che Dio dà a Caino nella prima lettura tratta da Genesi off re spunti nella medesima direzione. Il primo fi glio di Adamo ed Eva si trova a fare dover far spazio al fratello Abele. Improvvisamente e senza plausibile ragione, questi si conquista uno spazio maggiore rispetto a quello del fratello che rimane a margine della scena. Caino vive la buona riuscita di Abele, rappresentata dal favore divino, come una minaccia personale alla quale istintivamente risponde con rabbia, mentre sul suo capo si addensano nubi oscure e il suo petto brucia di sdegno.
È al cuore che occorre prestare attenzione, dice Dio a Caino. Fino a quel momento non ha nulla da rimproverarsi, ma se non sarà padrone di ciò che si muove nei suoi strati più profondi, le cose potrebbero precipitare. E così accade: l’ira di Caino esplode nel versare il sangue di Abele. Dice bene Gesù: la vera custodia del prossimo comincia dal cuore, dove si può togliere di mezzo il prossimo con la sola intenzione.