Lc 1,15-26 - Venerdì della XXVII Settimana del Tempo Ordinario - Anno Dispari - (10 ottobre 2025)

«È in nome di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Che grande offesa rivolgersi a Gesù pensando che il suo potere venga dal male e non dal bene. Eppure demonizzare è la tecnica più antica al mondo per sconfiggere ciò che si reputa essere un nemico. Dovremmo un po’ tutti imparare a smettere di demonizzare gli altri, anche quando si trovano all’opposto delle nostre posizioni, anche quando la pensano diversamente da noi, anche quando abbiamo la sensazione che non abbiamo nulla da condividere con loro.

Demonizzare è far coincidere il male con l’altro. Per Gesù non lo è in assoluto, ma anche gli altri con i loro limiti, e le loro malizie, le loro fragilità non possono mai essere considerati il male in assoluto. Gesù, però, a partire proprio da questa affermazione fatta nei suoi confronti, dà una lezione immensa su come agisce il male dentro la nostra vita, e così racconta la storia di un uomo forte che si sente sicuro delle proprie armi, della propria intelligenza, della propria forza e proprio per questo pensa di poter contrastare il male da solo. È proprio questa superbia e questa ingenuità che lo fanno cadere vittima del male.

Un cristiano non deve mai cadere in questa trappola perché egli sa con certezza che Gesù ha ragione quando dice: “Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde”. Noi non siamo forti da soli, ma siamo forti solo della sua presenza dentro la nostra vita. Senza di lui rischiamo di cadere e ricadere quasi sempre nelle stesse cose, con la grande differenza che ogni ricaduta può essere peggiore della prima e alla fine può anche scoraggiarci da rimetterci in piedi. L’umiltà è l’arma invincibile contro ogni attacco del male, perché l’umiltà è non accontentarsi di bastare a se stessi. 

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