In quello che cronologicamente è il più antico scritto cristiano, ossia la Prima Lettera ai Tessalonicesi, san Paolo lodava di quei fedeli greci «l’impegno nella fede, l’operosità nella carità e la costante speranza» (1,3). Appariva, così, la triade delle cosiddette «virtù teologali» che l’Apostolo ribadiva ai Corinzi nella sua Prima Lettera: «Queste sono le tre cose che permangono: la fede, la speranza e la carità» (13,13).
Iniziamo, allora, il nostro nuovo percorso – dopo quello finora condotto seguendo le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) – incontrando la fede. È, questo, un tema così vasto, dai riflessi molteplici, tale da impedire una trattazione esaustiva. Ci accontenteremo, perciò, solo di alcuni spunti di riflessione, ricordando subito che in agguato possono esserci due estremi: la superficialità del sincretismo per cui ogni credenza vale quanto un’altra o, all’opposto, il fuoco acceso del fanatismo che si esprime nel pericoloso fondamentalismo letteralista. Come osservava nel 1964 lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, caro anche a papa Francesco, «è più facile morire per una religione che viverla assolutamente».
Certo, siamo consapevoli di trovarci in un’epoca di crisi per la fede, anche se aveva ragione lo scrittore inglese Gilbert Chesterton quando, già nel 1908, faceva notare che non è vero che oggi chi ha abbandonato la fede non crede più in nulla: in realtà crede a tutto, a partire da magie, devozioni esagerate, indovini, maestri di un vago spiritualismo, superstizioni, ideologie varie e luoghi comuni che corrono sulla Rete. Noi cerchiamo di proporre, in modo semplificato, una serie di coppie tematiche che svilupperemo a partire da questa puntata, procedendo nelle successive.
Cominciamo ora col primo binomio che unisce fede e grazia. Sono come due stelle che costituiscono il cuore del credere. Ad accendersi per prima è la grazia: Dio si mette sulla strada della nostra vita, «sta alla porta e bussa» (Apocalisse 3,10), intesse un dialogo rivelandoci la sua persona, il suo pensiero, la sua volontà. San Paolo scrive: «Isaia arriva fino al punto di affermare: Io, il Signore, mi sono fatto trovare anche da quelli che non mi cercavano, mi sono rivelato anche a quelli che non mi interrogavano» (Romani 10,20). In principio, dunque, c’è l’amore divino che precede e interpella la persona umana.
A questo punto tocca a noi rispondere con la nostra libertà che può generare anche un rifiuto, oppure un’adesione. L’accettazione è appunto la fede, l’altra stella che s’accende nella nostra vita e che guida il nostro pensiero e il comportamento morale. Se vogliamo usare un’altra immagine, la fede è simile a braccia aperte che accolgono la grazia, è un afferrare la mano di Dio che ci viene offerta mente siamo nella nostra solitudine di creature limitate o stiamo sprofondando nelle sabbie mobili del male e del peccato.