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lunedì 09 settembre 2024
 
Il blog di Gianfranco Ravasi Aggiornamenti rss Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista

Fede e opere

Lo scrittore italiano Antonio Baldini nella sua opera Michelaccio (1924) proponeva questo curioso stornello: «Mentuccia d’orto / quaggiù dove non c’è nulla di certo / la religione è sempre un gran conforto». Certo, la fede è anche consolazione, ma guai quando si riduce a una sorta di anestetico e a una spezia gradevole. Essa è impegno serio, anzi, talvolta una sfida, quando si devono compiere scelte importanti nella vita. Dopo fede-grazia e fede-ragione introduciamo ora la coppia fede e opere, una delle cause teologiche più intense del contrasto tra cattolici e protestanti, a partire da Lutero che esaltava, sulla scorta di san Paolo, la fede a scapito delle opere morali. Se le distanze oggi si sono accorciate, non è men necessario uno sforzo di approfondimento.

L’apostolo affermava che non sono le opere da noi compiute a ottenerci il dono della salvezza, che è «molto di più» – come lui scriveva – perché essa è partecipare alla stessa vita di Dio, divenendo suoi figli d’adozione. A una certa concezione giudaica che esaltava la funzione salvifica del compimento delle opere della Legge, introducendo quasi un «salvarsi» da parte della creatura umana, Paolo opponeva un «essere salvato» attraverso la fede che accoglie il dono della grazia divina.

Nella Lettera ai Galati egli scrive: «Sapendo che l’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno» (2,16). Le opere non sono causa ma frutto della salvezza. Anche per lui, quindi, è necessario compiere le opere giuste, ma esse non sono una nostra medaglia di merito da accampare presso Dio, ma sono il segno dell’autenticità della fede. Sarà ciò che san Giacomo, più legato alla tradizione giudeo-cristiana, marcherà con forza nella sua Lettera, dando quasi l’impressione di correggere Paolo, in realtà sottolineando il rilievo dell’impegno esistenziale morale per non ridurre la fede a semplice adesione intellettuale o a mera esperienza intimistica.

Ecco le sue parole che rivelano accenti diversi rispetto a quelli paolini ma non così in contrasto con essi: «Che giova, fratelli, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede potrà salvarlo? Se un fratello o una sorella sono nudi e privi del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: Andate in pace a riscaldarvi e a saziarvi! senza dar loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta. Ma uno potrebbe dire: Tu hai la fede e io ho le opere. Mostrami la tua fede senza le opere, e io dalle mie opere ti mostrerò la mia fede… Ma non sai, o insipiente, che la fede senza le opere è fredda?… L’uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede» (2,14-24).

Fermiamoci qui nel nostro discorso sulla fede, consci che non abbiamo sviluppato altre coppie tematiche come fede e politica, oppure fede e scienza, o fede interiore e pratica religiosa. In finale lasciamo la parola a Cristo che ci lancia un terribile interrogativo: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Luca 18,8). È per questo che continua a ripeterci, come nell’ultima sera della sua vita terrena: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me!» (Giovanni 14,1).


16 novembre 2023

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