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lunedì 11 dicembre 2023
 
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Cardinale arcivescovo e biblista

Gli animali di Giobbe rimandano a Dio

Le diverse specie sono studiate anche dalla "zoologia sapienzale" e lasciano stupito l'autore biblico per il loro dinamismo e l'istinto che li guida, voluti dal creatore.

«Gli animali sono amici così simpatici: non fanno domande, non muovono critiche». Questa considerazione ironica della scrittrice inglese George Eliot (1819-1890) cerca di spiegare la simpatia che spesso si prova per questi esseri viventi, affidati – secondo la Bibbia – alla cura e non alla prepotenza dell’uomo, ma anche destinati in alcuni casi a diventare suo cibo (Genesi 9,3-4; Levitico 11; Gesù stesso si nutre di pesce; si pensi all’agnello pasquale).

Sta di fatto che la fauna con la sterminata sequenza delle specie, studiate dalla zoologia, costituisce una mirabile componente della Creazione. È per questo che – come sanno i lettori più fedeli – dopo aver dispiegato i quadri riservati all’universo e alla terra dal libro di Giobbe (38,1- 21), continuiamo la nostra contemplazione del creato rivolgendoci ora proprio al mondo animale, sempre stando alle pagine finali di quel capolavoro poetico e spirituale. Peraltro, sono molteplici le presenze di questi esseri viventi in tutta la Bibbia.

Infatti, Dio, interpellato per tutto il libro di Giobbe sul mistero del male, alla fine risponde con un grandioso discorso che è, però, tutto intessuto di domande rilanciate al suo interlocutore e che riguardano l’immenso progetto sotteso all’universo. L’uomo deve riconoscere di non essere in grado di spiegare con la sua ragione questa serie di segreti che si celano nella realtà. Dopo aver squadernato davanti a Giobbe il mondo fisico con i suoi dinamismi, ora gli interrogativi divini riguardano appunto gli animali.

Si tratta di due serie di quattro domande ciascuna. La prima concerne la realtà stessa e le strutture del mondo animale (38,39-39,12). Chi nutre, per esempio, i leoncelli o i piccoli del corvo? Chi presiede alla riproduzione che spesso è di difficile decifrazione, come nel caso dei camosci (o capre nubiane) e dei cervi? Chi imprime in alcuni, come nell’asino selvatico, la capacità di vivere liberi in aree desertiche? Chi assegna loro una potenza incontrollabile come, per esempio, al bufalo?

A questa batteria di quesiti, a cui Giobbe non sa replicare, subentra un secondo elenco quaternario che riflette l’interesse dell’antica zoologia sapienziale riguardo al tema dell’istinto animale (39,13-30). Chi dà ad alcune bestie la rapidità nel moto come accade allo struzzo in corsa? Chi rende così nobile, coraggioso e possente il cavallo in battaglia, quasi sentisse il gusto di sfidare il pericolo? Chi ha indotto l’istinto alla rapina, come accade allo sparviero e all’aquila?

Lasciamo al lettore di sostare davanti a queste descrizioni che sono vere e proprie scene piene di movimento e colori: un gioiello, per esempio, è il ritratto del cavallo (39,19-25), così come lo è l’umoristica rappresentazione della corsa sgangherata eppure velocissima dello struzzo, che era ritenuto un modello di stupidità per una sua curiosa (in realtà intelligente) prassi etologica. Infatti, «depone nella terra le uova e nella sabbia le lascia riscaldare. Non pensa che un piede può schiacciarle, una bestia selvatica calpestarle» (39,14-15). Come è evidente, l’ecologia biblica non esita a interessarsi anche degli angoli minori della natura.


03 settembre 2020

 
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