Nella liturgia della solennità dell’Assunzione di Maria la prima lettura biblica è costituita da una pagina celebre dell’Apocalisse (c. 12). Essa ha al centro «una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi, e sul capo una corona di dodici stelle». Essa è la madre di un figlio contro il quale invano si scaglierà il drago rosso, segno del male. La tradizione ha identificato in questa donna la figura di Maria, la madre di Cristo, anche se l’autore sacro probabilmente pensava al popolo di Dio, alla Chiesa, al cui interno il Messia è continuamente generato e reso presente attraverso l’Eucaristia e la Parola.
Questo testo ci suggerisce, comunque, il termine greco neotestamentario da proporre, gynê, «donna» (la pronuncia è ghynè), un vocabolo usato ben 215 volte, per cui possiamo riconoscere che la Scrittura Sacra cristiana sia molto più femminile di quanto spesso si creda. A segnare questa svolta – rispetto a una certa misoginia che affiora talora nell’Antico Testamento e che lambisce anche alcune pagine paoline frutto dell’incarnazione nella cultura e nella società dell’epoca – è certamente Gesù.
La sua vita è, infatti, accompagnata da tante donne, a partire naturalmente dalla madre, Maria. Agli stessi inizi della sua esistenza terrena c’è una vecchietta deliziosa di 84 anni, Anna, che lo esalta, mentre quando sarà adulto, cammineranno con lui e lo accudiranno «Maria chiamata Maddalena, Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che servivano [lui e i Dodici] con i loro beni» (Luca 8,2-3). A tavola sarà invitato e festeggiato dalla suocera di Pietro e dalle amiche Marta e Maria, sorelle di Lazzaro.
Egli non esiterà ad accogliere e a perdonare donne dalla storia tormentata come la prostituta che gli si accosta piangendo nella casa di Simone fariseo (Luca 7, 36-50) o l’adultera sulla spianata del Tempio (Giovanni 8,1- 11). Anche nelle ultime ore della sua vita, quando i discepoli fuggiranno, saranno alcune donne, con Maria sua madre, ad assistere alla sua morte e a prestargli le iniziali onoranze funebri. Saranno ancora loro ad essere le prime destinatarie dell’annuncio della sua risurrezione, incontrandolo e divenendo testimoni e missionarie della sua nuova presenza gloriosa.
Nella Chiesa delle origini c’è una piccola folla femminile: pensiamo alla dolce e generosa Tabità (Atti 9,36- 43), a Maria, madre di Giovanni Marco (forse l’evangelista Marco), e alla sua domestica Rode che ospitano Pietro liberato dal carcere (12,12-15), a Lidia, la commerciante di porpora che assiste Paolo a Filippi (16,14), all’ateniese Damaris che si converte dopo il discorso dell’apostolo all’Areopago (17,34), a Priscilla che con suo marito Aquila lo accoglie nella loro casa a Corinto (18,2-3), alle quattro figlie del diacono Filippo di Gerusalemme (21,8-9).
Come non ricordare le donne romane salutate da Paolo nella Lettera indirizzata a quella comunità (c. 16), da Febe a Maria, da Giunia a Trifena e Trifosa, da Perside a Giulia? E come non evocare il rilievo delle vedove nella Chiesa delle origini (1Timoteo 5)? Potremmo, perciò, concludere proprio con le parole emblematiche di Paolo ai Galati: «Non c’è giudeo né greco, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (3,28).