Questo vocabolo è uno dei più rilevanti dell’Antico Testamento, a livello teologico e spirituale. Definisce l’alleanza tra Dio e il suo popolo come un legame tra due persone che si amano
Nel tempio di Gerusalemme un sacerdote intona un inno che celebra il Dio creatore e salvatore. È una sorta di litania che elenca gli atti di amore compiuti dal Signore verso il suo popolo. A ogni frase l’assemblea risponde con un’antifona che suona così: «Eterno è il suo hèsed». Si tratta del Salmo 136, il cosiddetto «grande hallel (lode)», intonato nel rito della festa di Pasqua e certamente cantato anche da Gesù. Ecco, la nuova parola che dobbiamo conoscere è appunto hèsed (l’h è aspirata), ed è uno dei vocaboli più rilevanti a livello teologico e spirituale dell’Antico Testamento, ove risuona 245 volte (ben 127 solo nei Salmi).
È diffi
cile rendere il termine con una sola nostra parola, perché rimanda a quella trama di sentimenti che intercorrono tra due persone che si amano: fedeltà, bontà, amore, misericordia, tenerezza, lealtà. Non per nulla è il vocabolo principale per defi
nire il legame dell’alleanza (berît: parola che, a suo tempo, abbiamo già spiegato) tra il Signore e il suo popolo. Ancor oggi in arabo hasada, che ha la stessa base linguistica, designa una unione di persone che si aiutano a vicenda.
Siamo quindi in presenza di un vincolo morale, che può avere anche implicazioni giuridiche, ma che è soprattutto affettivo, come scrive un noto studioso ebreo, André Neher: «Hèsed è una simpatia spontanea, non comandata, tra due persone, una grazia e un amore che superano il dovere, un sentimento e non un obbligo». Per questo l’aggettivo derivato, hasîd, indica il fedele che si consacra a Dio con la sua anima, la sua opera e tutto il suo essere. Al plurale, hasidîm si erano denominati i membri di una comunità giudaica, vissuta in Polonia e in Ucraina, a partire dal ’700 e spazzati via dall’orrore nazista, un movimento di grande spiritualità e fervore che ancor oggi sopravvive ed è famoso per i suoi «racconti» religiosi, fatti conoscere dal
filosofo austriaco Martin Buber (1878-1965). Sotto il manto del hèsed si raccoglie, perciò, la storia della spiritualità biblica, incominciata con l’alleanza con Dio al Sinai e sviluppata dai profeti attraverso il simbolo del patto nuziale, iniziando con Osea nell’VIII sec. a.C. Egli, basandosi sulla sua infelice esperienza matrimoniale, aveva delineato anche l’aspetto negativo, quello dell’infedeltà. Come sua moglie lo aveva abbandonato per seguire altri amanti, così Israele voltava le spalle al suo Signore, scegliendo gli idoli, soprattutto il dio della popolazione indigena della terra promessa, i Cananei, che adoravano Ba‘al («signore ») sotto l’immagine del toro fecondo (si ricordi l’episodio del vitello d’oro in Esodo 32,1-6).
È per questo che nella Bibbia si usano termini come adulterio, prostituzione, tradimento per defi
nire l’infedeltà di Israele nei confronti del suo «sposo», il Signore, infrangendo, così, il hèsed, il legame di fedeltà che lo unisce a lui e che egli continua a mantenere vivo. Il fedele autentico, allora, prega così: «Quanto prezioso è il tuo hèsed, o Dio!» (Salmo 36,8). È la consapevolezza di essere sempre sotto lo sguardo amoroso e la protezione affettuosa del Signore a cui si è uniti in un vincolo «sponsale»: «Signore, il tuo hèsed è nel cielo… Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali» (36,6.8).