«Che cos’è l’invidia? È dire: quello che hai tu è mio, è mio, è mio? Non proprio. È dire: ti odio perché tu hai ciò che io non ho e che desidero. Io voglio essere, sì, ma nella tua posizione, con le tue opportunità, con il tuo fascino, la tua bellezza, le tue capacità e la tua ricchezza spirituale… L’invidia è un’afflizione dello spirito, e a differenza di altri peccati della carne, non provoca piacere a nessuno. È un’emozione dolorosa per chi la prova, che ha effetti ugualmente dolorosi negli altri».
Così Muriel Spark, scrittrice scozzese vissuta a lungo in Italia e morta a Firenze nel 2006, descriveva il sesto vizio capitale nel romanzo intitolato semplicemente Invidia (2004). La rappresentazione di questa malattia dell’anima è efficace anche perché il libro ha come protagonista un diciassettenne geniale che purtroppo è circondato da una gelosia irrefrenabile nell’ambiente chiuso di un college svizzero. Aveva ragione un altro più celebre scrittore inglese, Jonathan Swift, autore dei Viaggi di Gulliver, che affermava: «Quando al mondo appare un genio, potete riconoscerlo da un segno inequivocabile: tutti si coalizzano contro di lui».
Ma rivolgiamoci ora alla Parola di Dio e al suo messaggio morale. La Bibbia, infatti, traccia quasi una catena genealogica di invidie deleterie, a partire da Adamo, vittima – secondo il Libro della Sapienza – della gelosia satanica: «È per invidia del diavolo che la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza quanti gli appartengono» (2,24). Ed è proprio la gelosia a generare la prima violenza omicida da parte di Caino, irritato e invidioso della benedizione divina nei confronti di suo fratello Abele (Genesi 4,5). La stessa vicenda si ripeterà con Giuseppe, figlio di Giacobbe: «Vedendo che il loro padre amava più lui di tutti i suoi figli, odiavano Giuseppe… ed erano invidiosi di lui» (Genesi 37,4.11).
Altrettanto tesa la storia delle relazioni tra il re Saul e colui che l’avrebbe soppiantato sul trono, il giovane Davide. I successi militari di quest’ultimo generano nel vecchio sovrano psicopatico una folle gelosia. Infatti, «le donne danzavano e cantavano alternandosi a cori: Saul ha ucciso mille nemici, ma Davide diecimila! Saul ne fu molto irritato e gli parvero pericolose quelle parole: Hanno attribuito a Davide diecimila e a me soltanto mille! Non gli resta ormai che prendersi il regno! Così da quel momento Saul s’ingelosì di Davide» (1Samuele 18,7-9). I maestri dell’antico Israele non si stancheranno di mettere in guardia i loro discepoli da questo vizio: «Non invidiare l’uomo violento… Il tuo cuore non invidi i peccatori… Non invidiare i mascalzoni e non desiderare la loro compagnia… Non invidiare gli empi…» (Proverbi 3,31; 23,17; 24,1.19).
Un altro sapiente biblico, il Siracide, continuerà questa lezione, esortando a «non invidiare la gloria del peccatore» (9,11). È, questo, un proposito che viene suggerito anche dal Salmista: «Non invidiare i malfattori!» (37,1). Egli confessa di essere stato tentato di imitare le scelte immorali degli arricchiti, «perché ho invidiato i prepotenti» e il loro successo (73, 3). La stessa condanna nei confronti dell’invidia affiora anche sulle labbra di Cristo che elenca questo vizio insieme a una lunga sequenza di peccati che «vengono dall’interno e contaminano l’uomo», e cioè «intenzioni cattive, fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (marco 7,21- 23). Concludiamo questa tappa ulteriore nell’orizzonte tenebroso dei vizi capitali ritornando a una testimonianza letteraria, come abbiamo fatto all’inizio. È un autore finlandese di lingua svedese, Bo Carpelan, che nel suo romanzo Il libro di Benjamin (1997) lascia sospeso un duplice interrogativo che affidiamo ai lettori: «L’invidia è indubbiamente una malattia, come la gelosia. l’unica medicina è probabilmente una dose sostanziosa di umorismo e di autocritica. Dov’è la farmacia che la venda? E quand’è stata l’ultima volta che ho incontrato qualcuno capace di prendersi in giro?»