Aprirò questa nuova rubrica con una nota personale. Da un anno ho concluso il mio mandato di capo-dicastero vaticano della Cultura, affidatomi nel lontano 2007 da Benedetto XVI e confermatomi da papa Francesco. Ero convinto di poter ritornare nell’oasi protetta e silenziosa degli studi biblici che ho a lungo coltivato. E invece, a sorpresa, sono stato letteralmente travolto da richieste di ogni genere, dall’Italia e dall’estero, per presiedere celebrazioni, partecipare a convegni, tenere conferenze, intervenire a eventi ecclesiali, civili e culturali.
In filigrana a quegli inviti, con un po’ di malizia, intravedevo una motivazione implicita e ben nascosta: «Ormai non ha più niente da fare come pensionato e quindi può dedicare a noi il suo tempo». C’è stato, però, un altro flusso inatteso che si è espresso attraverso la corrispondenza cartacea e soprattutto quella che si è riversata sulla mia email personale (e non più ufficiale) presto conquistata. Si è, così, irrobustito un filone che da decenni ha accompagnato la mia vita, quello dei quesiti di taglio biblico, teologico, spirituale e persino esistenziale.
Si tratta non di rado di domande che non mi sono mai posto o che ai miei occhi sono del tutto marginali e secondarie e che invece venivano ripetute da molti come rilevanti. Ci sono, poi, questioni persino drammatiche: si pensi solo al «perché?» rivolto a un Dio muto da chi ha perso un figlio o è travolto da una tragedia familiare e si interroga sul senso del dolore e del male. Ci sono state anche curiosità o ipotesi fin stravaganti asserite e dimostrate con una sicurezza estrema, tanto da far sospettare che l’interlocutore si aspettasse solo una conferma.
Ormai è da oltre quarant’anni che mi affaccio sulle pagine di Famiglia Cristiana, tanto che essa costituisce una parte importante della mia vita di sacerdote, di studioso e di comunicatore. Dal direttore e dagli amici del giornale sono stato spinto a rimanere ancora per un po’. E allora, avendo trattato tanti e diversi temi, ho pensato di raccogliere, selezionare e rispondere alla folla di domande che mi sono state rivolte e che ancora adesso continuano a interpellarmi. Lo ribadisco: spesso non sono le grandi questioni che i biblisti e i teologi si pongono, ma sono quelle che sbocciano nella mente e nel cuore di molti lettori e cristiani comuni. Un esegeta, Ludwig Monti, ha raccolto in un bel libro Le domande di Gesù (San Paolo 2019): ne ha individuate ben 217 lanciate da Cristo e 141 rivolte a lui. L’interrogare fa parte della stessa natura umana, come dimostrano i bambini coi loro incessanti e implacabili «Perché?». Essi segnalano una radicale ansia di conoscere e capire, propria della persona la quale, però, da adulta, spesso fa appassire il ore delle domande nell’indierenza e nella supercialità. Eppure continua per tutti a echeggiare quell’interrogativo fondamentale che un giorno Gesù ha lasciato serpeggiare tra i suoi discepoli: «Ma voi, chi dite che iosia?» (Matteo 16,15).
Una nota finale a margine. I lettori si sorprenderanno per il titolo assegnato a questa nuova rubrica: Dubito ergo sum. Forse molti di loro hanno in memoria dai loro studi scolastici il celebre motto del filosofo francese del Seicento Cartesio: Cogito ergo sum, «penso, quindi sono», che assegna al pensiero la capacità di definire la sostanza della persona umana. Con la nostra formula non si vuole, certo, esaltare coloro che dubitano di tutto, demolendo e sgretolando ogni verità. Nella fede, come nell’amore, le certezze non sono come quelle fredde della matematica e della geometria, ma si conquistano attraverso la ricerca, il fremito, la domanda, consapevoli dell’infinito che ci circonda e del mistero di Dio che ci supera incessantemente. Alessandro Manzoni, perciò, ci ammoniva: «È men male l’agitarsi nel dubbio, che il riposar nell’errore».