Ho inaugurato questa rubrica agli inizi dell’anno con un’immagine che ne avrebbe specificato la finalità, «il fiore delle domande». Avevo, così, scelto di attingere ai tanti interrogativi che mi erano stati rivolti durante l’ormai lungo mio percorso di biblista, di scrittore, di conferenziere, di predicatore. Sono molteplici, infatti, i semi delle questioni di fede che germogliano nell’animo di molti, spesso senza che crescano. Talora, però, fioriscono e diventano espliciti.
Non è sempre facile formulare queste domande o trovare chi interpellare. C’è una frase suggestiva del profeta Isaia: «Guardai, ma non c’era nessuno, tra costoro proprio nessuno capace di consigliare, nessuno da interrogare per avere una risposta » (41,28). Certo, è anche un po’ vero quello che osservava con ironia Oscar Wilde, scrittore inglese dell’Ottocento: «Le risposte sono capaci di darle tutti, a fare le vere domande ci vuole un genio ». In verità anche l’ars respondendi è appunto un’arte che non sempre è praticata, così che riesca a dare frutti che sfamino il desiderio di conoscenza di chi ha praticato l’ars interrogandi.
La selezione delle domande è stata condotta sostanzialmente secondo tre percorsi. Il primo ha puntato sulla figura di Gesù così come appare nel racconto dei Vangeli, spesso segnato da increspature e persino inciampi per il lettore. Si è, così, compiuto di necessità un viaggio in molte tappe all’interno dell’orizzonte decisivo della corretta interpretazione della Bibbia. In tal modo si è allargato il perimetro delle risposte, entrando nell’Antico Testamento che per non pochi cristiani è un territorio arduo da attraversare e, quindi, accantonato. E questo è stato il secondo itinerario.
Infine, si è aperto lo scrigno delle domande teologiche generali che vanno dalle origini umane fino al nostro destino ultimo, ma si affacciano anche sul mistero di Dio e sugli interrogativi fondamentali dell’essere e dell’esistere. Per usare il linguaggio tecnico – a cui abbiamo voluto assuefare un po’ anche i nostri lettori – si è configurata la trilogia «cristologia – ermeneutica (interpretazione) – escatologia (senso ultimo della realtà)». Naturalmente questa ricerca è “fiorita” affrontando questioni imponenti, ma anche scendendo in osservazioni minuscole e persino marginali, segnate talora talora dalla spezia della curiosità.
Il titolo della rubrica Dubito ergo sum è stato un po’ l’insegna: non si è, però, voluto esaltare il dubbio sistematico che tutto sgretola, ma si è cercato di affrontare le incertezze, le oscurità, le esitazioni, le domande, appunto, che sorgono nel cammino di fede. Il credere, come l’amare, non si basa su una fredda dimostrazione matematica o geometrica, ma esige una ricerca all’interno di un orizzonte che ci supera, il «mistero» di Dio.
Il poeta tedesco ottocentesco Heinrich Heine scriveva: «Noi non cessiamo di interrogarci / ancora e ancora, / finché una manciata di terra / ci chiuderà la bocca». Egli non credeva a una risposta suprema finale che andasse oltre la pala del becchino. Il nostro itinerario durato un anno ha, invece, cercato di varcare quella frontiera, per avere una parola che esaudisse le nostre legittime domande fondamentali, pur non esaurendo l’infinita grandezza divina. In questa luce vorrei concludere col suggerimento di un altro scrittore, l’inglese Clive Staples Lewis, morto nel 1963: «Spesso diciamo che Dio non risponde alle nostre domande; in realtà siamo noi che non ascoltiamo le sue risposte».