Profeti per le genti e segni di salvezza
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca.
Luca 4,21-22
I l Vangelo di questa domenica comincia con lo stesso versetto con cui si è concluso quello di domenica scorsa: «Oggi si è compiuta la Scrittura!». Tanto è importante il kairós, il tempo concreto in cui viviamo, momento favorevole nel quale il Signore si fa presente. Nella prima lettura Dio parla a Geremia “nei giorni del re Giosia”: un oggi determinato e storico in cui la salvezza si manifesta, attraverso un uomo scelto, a beneficio delle genti. Il Signore conosce Geremia e lo ha consacrato profeta fin dal principio dei tempi, ben prima di formarlo nel grembo materno: lo ha chiamato a dire ciò che gli sarà ordinato senza paura, perché Dio è con lui. I nemici di Geremia sono individuati nei “re di Giuda, i sacerdoti, il popolo”: “gli muoveranno guerra”, pertanto, proprio coloro che dovrebbero essergli amici e condividere con lui la fede e gli ideali. Geremia sarà profeta per i popoli pagani, per i lontani, per gli ultimi: è chiamato ad aprire gli orizzonti dell’amore perché la Parola di Dio giunga a tutte le genti. La fede in Gesù mette in moto proprio la carità, la virtù più grande, quella che rimane in eterno: essa suscita il desiderio di condividere il tesoro prezioso che abbiamo trovato, Cristo Signore e Salvatore, con ogni uomo sulla terra. La carità non tollera che alcun fratello resti fuori dalla buona notizia della salvezza. San Paolo nella seconda lettura afferma che qualunque carisma a nulla vale senza la carità: solo l’amore rende solleciti alle esigenze dei fratelli e ci fa riconoscere, proprio in questa sollecitudine, l’originaria vocazione a essere al servizio del Vangelo. Questo è autenticamente il profeta: un uomo riempito di Cristo che coglie il senso del tempo e della storia e dice quanto lo Spirito gli suggerisce per portare Dio nel cuore delle attività umane. Tutto il resto è finzione: se non amiamo i fratelli che vediamo, come possiamo amare Dio che non vediamo? Come possiamo dire di essere amici di Dio se non siamo disponibili a servire la vita umana in ogni sua condizione e specialmente nella fragilità?
UN GROSSO RISCHIO L’indifferenza alla radicalità del Vangelo è un rischio imminente per tutti noi, anche se conosciamo il Signore: i concittadini di Gesù, dopo averlo sentito parlare di una buona notizia da portare ai poveri, ai prigionieri, agli oppressi, cominciano a prenderne le distanze e, sebbene riconoscano che Egli dice “parole di grazia”, vogliono addirittura gettarlo giù dal monte. Preferiscono liberarsene perché la Sua Parola è scomoda, come la parola di tutti i profeti prima di Lui, come la parola di ogni Suo apostolo in ogni tempo. Contro chi parla veramente in nome di Dio si scatena sempre un’ostilità diffusa, anche da parte di quanti gli sono più vicini e condividono la stessa fede. Si tratta di invidia, o di desiderio di primeggiare, o di paura che venga richiesto impegno e sacrificio; mentre si cede a questi sentimenti, si finisce per perdere quanto è più prezioso: Cristo stesso e la Sua Parola che risuona attraverso i Suoi profeti. Così, come dice il luogo parallelo di Matteo, rischiamo che Gesù passi in mezzo a noi senza “operare molti prodigi, a causa dell’incredulità”. Chiediamo di avere occhi per riconoscere Gesù in chi ci è accanto e per “metterci in cammino” alla Sua sequela.