Testimoniare con gioia la misericordia
Quando ebbe speso tutto, il figlio minore rientrò in sé, si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora
lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
Luca 15,20-21
A metà Quaresima celebriamo la domenica laetare, “della gioia”. L’antifona di ingresso incoraggia: «Rallegrati, Gerusalemme, radunatevi voi che l’amate. Gioirete e vi sazierete al seno delle sue consolazioni». Essere ammessi alla mensa del Padre e saziarsi dei beni che Dio con abbondanza prepara per i suoi figli è il filo conduttore della liturgia di questa quarta domenica. Nella prima lettura, tratta dal libro di Giosuè, gli Israeliti celebrano la Pasqua nelle steppe di Gerico e si saziano dei frutti della terra santa, nella quale sono finalmente entrati: grande giubilo per un popolo ancora pellegrino, che tante volte ha tradito il Signore, ma che sta sperimentando la sua fedeltà e il compimento delle sue promesse! Il Salmo 55 esorta a gustare la bontà di Dio e a benedirlo. Paolo predica la riconciliazione dell’uomo con Dio mediante Cristo e supplica i fedeli di Corinto: «Lasciatevi riconciliare con Dio!».
Questo invito è oggi per noi: è Gesù stesso a esortarci, attraverso la parabola del Padre misericordioso, vero cuore del Vangelo di Luca. L’occasione è una mormorazione di scribi e farisei: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Simile è il disappunto del figlio maggiore della parabola, il quale, accecato dall’invidia che prova per l’amore con cui suo padre accoglie il fratello ritornato a casa, non riesce a comprendere che lui stesso gode da sempre dello stesso amore senza limiti. Possiamo certamente identificarci con il figlio minore: siamo noi quelli ai quali sta stretta la casa del Padre! Vogliamo fare da soli, confidiamo nelle nostre capacità (ma cosa c’è di nostro? Che grande miseria raccogliamo quando decidiamo di andare via, con le nostre povertà, dalla casa del Padre?) e viviamo come ci aggrada, sperperando i doni ricevuti. Siamo ancora noi che sperimentiamo la fame lontani dalla casa e dalla mensa del Padre e, segnati dal dolore, ritorniamo da Lui per chiedergli, in cambio del nostro lavoro, la ricompensa che si dà ai salariati. Quanto siamo lontani dalla conversione! Il Padre ci ama come figli e scruta l’orizzonte da quando siamo partiti. Il suo sguardo di benedizione ci cerca e ci attende da sempre. Gli basta che torniamo per trattarci ancora come figli, ai quali dà tutto: il vestito più bello, l’anello al dito, i calzari ai piedi, il cibo più pregiato, non perché lo meritiamo ma perché siamo amati, nonostante i nostri tradimenti. Dio fa festa quando, tornando a Lui, passiamo dalla morte alla Vita.
VERI FIGLI L’idea che i beni del Padre si meritino e spettino in funzione del lavoro che si svolge per Lui accomuna entrambi i figli: siamo noi dunque soprattutto il figlio maggiore, che vive a casa del Padre stancamente, si impegna e si affatica a lavorare per Lui senza gustare la gioia di essere figlio amato, ma anzi provando segreta invidia per quell’altro figlio che se n’è andato a divertirsi. La conversione è percepire che nulla manca nella casa del Padre, è passare da un cristianesimo di solo impegno e sacrificio,
che resta scuro in volto e pieno di livore e di giudizi verso chi è lontano, a un cristianesimo di gratitudine filiale, luminoso di gioia contagiosa e desideroso che tutti gustino il pane del perdono e l’amicizia di Dio. Venite, facciamo festa!