KÓSMOS: mondo - Gianfranco Ravasi spiega la parola greca nella Bibbia
Ecco una parola greca che è entrata nella nostra lingua e che tutti conoscono, kósmos, usata 186 volte nel Nuovo Testamento. Il significato originario è suggestivo perché rimanda al verbo kosméô, «ornare, ordinare»: il «cosmo» è, perciò, simile a un gioiello, è un progetto divino segnato dalla bellezza. È ciò che si descrive anche nel c. 1 della Genesi in cui il creato è dotato di ornamenti come la luce, l’acqua, gli animali, la vegetazione e, naturalmente, l’umanità. Quest’ultima, però, con la sua libertà può devastare l’armonia originaria voluta dal Creatore.
È per questo che san Paolo personifica il creato «sottoposto alla caducità… nella speranza di essere liberato dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio». E continua immaginando che, insieme all’umanità che attende la redenzione, anche «la creazione geme e soffre le doglie del parto», così da generare un nuovo mondo, parallelo a quello primordiale (Romani 8,20-22). Nella concezione «cosmologica» antica la struttura dell’universo era tripartita: i cieli erano la dimora divina, la terra la sede dell’umanità e gli inferi erano popolati dai morti, in un luogo di tenebra e silenzio.
Nel Nuovo Testamento l’idea prevalente è, però, quella del mondo in quanto espressione dell’umanità che lo abita. Nella parabola della zizzania «il campo è il mondo», nel quale attecchisce purtroppo il male accanto al grano del bene (Matteo 13,38). La dimensione morale appare anche nella famosa frase di Gesù: «Quale vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria anima?» (16,26). Ma è soprattutto l’evangelista Giovanni a sviluppare una riflessione simbolica attorno al kósmos come realtà umana.
Essa ha un profilo duplice e antitetico. Innanzitutto è un orizzonte umano perverso, quasi un regno del male che si oppone a Dio. L’ultima sera della sua vita terrena, Gesù prega così: «Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto» (17,25). «Il mondo non può ricevere lo Spirito di verità perché non lo vede e non lo conosce» (14,17). Lo scontro è aspro perché la terra e la storia sono rette dal «principe di questo mondo», che è Satana (12,31) ed è per questo che «tutto il mondo sta in potere del Maligno» (1Giovanni 5,19).
Risuona, allora, il monito severo della Prima Lettera di Giovanni: «Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui, perché tutto quello che è nel mondo – la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita – non viene dal Padre, ma viene dal mondo» (2,15-16). Tuttavia Cristo è entrato in questo orizzonte ed è in quella stessa umanità che sono insediati gli apostoli, come si ribadisce nella preghiera finale di Gesù: «Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo… Il mondo li ha odiati, perché essi sono del mondo, come io non sono del mondo» (17,14.18)
L’ingresso di Cristo nel mondo dell’umanità ha avuto, però, un’unica meta, perché Dio non vuole abbandonare il mondo al suo destino. Anzi, egli fa sì che acquisti un altro volto di luce e di liberazione. È ciò che Gesù rivela a Nicodemo con parole appassionate: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (3,16-17).