Si chiamava Rogier van der Weyden ed è stato un pittore fiammingo del ’400 che amava molto il nostro Paese, ove soggiornò a lungo. In un suo dipinto, datato attorno al 1440 e conservato nel Museum of Fine Arts di Boston, egli rappresenta l’evangelista Luca che ha davanti a sé in posa, quasi fosse una modella, Maria che sta allattando il piccolo Gesù, mentre alle sue spalle si apre una finestra che s’affaccia su una campagna fiorente. Luca sta per iniziare a dipingere su una tela il ritratto della Madre Vergine.
Poniamo idealmente questo quadro all’inizio di un altro viaggio nelle pagine bibliche assieme ai nostri lettori. L’anno liturgico che ora comincia sarà infatti scandito dal Vangelo di Luca, il più lungo dei quattro (19.404 parole greche e 1.151 versetti), opera di un autore raffinato che di professione – stando a san Paolo (Colossesi 4,14) – era medico. La tradizione l’ha fatto diventare anche pittore e gli ha attribuito molte delle “Madonne nere” venerate in famosi santuari mariani, che in realtà sono posteriori di vari secoli. Luca è colui che ci ha lasciato i profili più belli di Maria non attraverso il pennello ma con la sua penna.
C’è, però, un altro aspetto di solito poco indagato: il terzo evangelista è anche il più attento a segnalare le figure femminili che hanno incrociato la vita di Gesù. È per questo che abbiamo scelto di percorrere insieme la sua narrazione alla ricerca delle donne da lui presentate sulle strade ove Cristo camminava o nelle case in cui era ospitato. Davanti ai nostri occhi si succederà una sequenza di volti con le loro storie, talora drammatiche, spesso quotidiane, tratteggiate persino all’interno di locali angusti, com’erano quelli delle residenze dei villaggi di allora.
Prima di avviarci lungo questo itinerario, ricordiamo solo qualche tratto dell’opera di Luca dedicata – come la sua seconda opera, gli Atti degli Apostoli (ai quali pure riserveremo qualche puntata) – a un non meglio identificato «Sua Eccellenza Teofilo» (1,3). Egli si rivolge tendenzialmente a un pubblico di origine pagana ed è convinto che Cristo sia come lo spartiacque della storia umana, colui che conduce a pienezza il tempo di Israele e che inaugura quello della Chiesa, sviluppato appunto negli Atti degli Apostoli. L’evangelista esalta in particolare tre profili di Gesù.
Innanzitutto celebra la sua misericordia amorosa. Egli è venuto «ad evangelizzare i poveri, ad annunziare ai prigionieri la liberazione e il dono della vista ai ciechi, a liberare gli oppressi», come Cristo stesso aveva affermato nel suo discorso programmatico nella sinagoga di Nazaret (4,18-19). Suggestivamente Dante nella sua opera latina Monarchia aveva coniato questa definizione di Luca: scriba mansuetudinis Christi, lo scrittore della mansuetudine di Cristo, della sua dolcezza nei confronti dei peccatori, della sua tenerezza verso gli ultimi e gli emarginati.
A quest’ultimo proposito entra in scena la seconda qualità, la povertà: così temuta e disprezzata dalla società, diventa invece la sigla di Gesù e dell’orizzonte umano in cui egli si muove e di cui parla (si pensi solo alla figura del povero Lazzaro, del quale hanno compassione solo i cani). Infine, il Cristo di Luca è per eccellenza un uomo di preghiera. In tutte le svolte decisive della sua vita si ritira in dialogo con il Padre divino, fino all’ultimo istante della sua esistenza quando, esalando un estremo respiro, invoca: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46).