Tutte le Scritture sono animate da questa figura sovrumana ma non divina, che ha il compito, secondo il significato del termine, di mediare la volontà, l’amore e la giustizia di Dio
Dalla prima pagina della Bibbia con i «Cherubini dalla fiamma della spada folgorante» posti a guardia del giardino dell’Eden (Genesi 3,24), fino alla folla angelica che popola l’Apocalisse, le Sacre Scritture sono animate dalla presenza di queste figure sovrumane ma non divine, la cui realtà era nota anche alle culture circostanti all’antico Israele. Il nome ebraico è mal’ak, è presente 213 volte nell’Antico Testamento, è tradotto in greco ánghelos, donde il nostro «angelo», e significa «messaggero». Si intuisce, così, la funzione di questi personaggi, cari alla tradizione giudaica e cristiana, tanto da essere celebrati nella liturgia cattolica il 2 ottobre.
La missione dell’angelo è sostanzialmente di salvaguardare la trascendenza di Dio, ossia il suo essere misterioso e «diverso» rispetto al mondo e alla storia, ma al tempo stesso di renderlo vicino a noi comunicando la sua parola e la sua azione, proprio come fa il «messaggero». È per questo che in alcuni casi l’angelo nella Bibbia sembra quasi ritirarsi per lasciare spazio a Dio che entra in scena direttamente. Così nel racconto del roveto ardente ad apparire a Mosè tra quelle fiamme è innanzitutto «l’angelo del Signore», ma subito dopo è «Dio che chiama dal roveto: Mosè, Mosè!» (Esodo 3,2-4).
La funzione dell’angelo è quindi quella di rendere quasi visibili e percepibili in modo mediato la volontà, l’amore e la giustizia di Dio, come si legge nel Salterio: «L’angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono e li salva… Il Signore darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi; sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede» (34,8; 91,11-12). Si ha qui l’immagine tradizionale dell’«angelo custode», ben raffigurata nell’angelo Azaria-Raffaele del libro di Tobia.
Il vocabolo mal’ak, però, come si diceva, a livello di base ha il valore di «messaggero». Si comprende allora come possa essere applicato anche ad alcune persone umane. È il caso dei profeti che annunciano la parola divina al popolo. Così, di Aggeo, che profetizza nel 520 a.C. agli Ebrei rimpatriati dall’esilio babilonese, si legge nel suo libro questa frase: «Aggeo, messaggero (mal’ak) del Signore, rivolto al popolo, disse per incarico del Signore: “Io sono con voi, oracolo del Signore”» (1,13). Anzi, c’è un profeta che si chiama (o forse è uno pseudonimo) Malachìa, in ebraico «messaggero del Signore».
È proprio nel suo scritto che si legge questo monito rivolto ai sacerdoti: «Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca insegnamento, perché egli è messaggero (mal’ak) del Signore degli eserciti» (2,7). Anzi, il Salmista introduce un particolare messaggero presente nella natura: «Fai dei venti i tuoi messaggeri (mal’ak)» (Salmo 104,4). Si riconosce, così, che anche il cosmo contiene una rivelazione divina aperta a tutta l’umanità. Ma concludiamo ritornando agli angeli in senso stretto.
Il loro compito è, come si è detto, quello di essere i mediatori tra l’infinito di Dio e il finito dell’uomo e questa funzione la espletano anche per il Cristo. Come scriveva il famoso teologo Hans Urs von Balthasar (1905-1988), «gli angeli circondano l’intera vita di Gesù, appaiono nel presepe come splendore della discesa di Dio in mezzo a noi; riappaiono nella Risurrezione e nell’Ascensione come splendore della ascesa in Dio». La loro è ancora una volta la missione di mettersi vicini all’umanità per svelare il mistero della gloria divina presente in Cristo in un modo che non ci accechi come sarebbe con la luce divina diretta.