Nell'assemblea del tempio di Gerusalemme si fece silenzio; un solista si alzò e intonò il “Grande Hallel”, la lode a Dio per eccellenza, ossia il Salmo 136: «Lodate il Signore: egli è buono! / I cieli ha fatto con sapienza, / la terra ha stabilito sulle acque, / ha fatto le grandi luci: / il sole a reggere i giorni, / la luna e le stelle a reggere la notte!». E il popolo a ogni verso acclamava: «Eterno è il suo amore!». In quella strofa, che avrebbe guidato un rosario di altre strofe dedicate alla storia sacra così da comporre il Credo d’Israele, balenava la prima, indimenticabile pagina della Bibbia, quel celebre capitolo 1 della Genesi, aperto da un lapidario «In principio Dio creò…». Era, quella, una pagina curiosa nella sua solenne ripetitività. Essa sembra oggi elaborata quasi al computer secondo un complesso schema numerico: 7 giorni nei quali affiorano 8 opere divine scandite in 2 gruppi di 4; 7 formule sse alla base dell’intera trama del racconto; 7 ritorni del verbo bara’, “creare”; per 35 volte (7x5) risuona il nome di Dio; per 21 volte (7x3) entrano in scena «terra e cielo»; il primo versetto si compone di 7 parole e il secondo di 14 (7x2)…
Questa specie di cabala, ritmata sul 7 della settimana liturgica, numero di pienezza, perfezione e armonia, era destinata a celebrare l’irruzione che nel silenzio del nulla e nella tenebra del caos compie la parola divina creatrice. Tutta la Creazione, infatti, è riassunta in un possente imperativo: «Sia la luce! E la luce fu». Non possiamo che partire da questa pagina d’apertura della Bibbia per iniziare il nostro lungo viaggio all’interno del Creato così come è rafgurato nelle Sacre Scritture. Dio non crea il mondo attraverso una lotta primordiale intradivina, come insegnavano le antiche cosmologie babilonesi per le quali Marduk, il dio creatore vincitore, faceva a pezzi la divinità negativa Tiamat, componendo con essa l’universo. In tal modo il Creato recava in sé necessariamente e denitivamente la stimmata del male e del limite a causa del dio del nulla scontto. Per la Bibbia, invece, come dirà l’evangelista Giovanni in quel capolavoro che è il prologo al suo Vangelo, «in principio c’era la Parola (il Logos)», il Verbo efcace divino, e «tutto è stato fatto per mezzo di lui». L’orizzonte creato è quindi contemplato dalla fede ebraico-cristiana come un capolavoro delle mani di Dio, o meglio, delle sue labbra. Per questo terra e cielo – per usare un’immagine del culto giudaico sinagogale – sono come una pergamena distesa sulla quale è iscritto un messaggio rivelato all’uomo. O potremmo pensare con il poeta del Salmo 19 che nel mondo corre una musica silenziosa, una voce afona, un canale d’ascolto che sovrasta la soglia uditiva, eppure esso è aperto e riconoscibile a tutti: «I cieli narrano la gloria di Dio, il rmamento annunzia le opere delle sue mani; il giorno al giorno afda il messaggio, la notte alla notte trasmette notizia, senza discorsi, senza parole, senza che si oda alcun suono. Eppure la loro voce si espande per tutta la terra, sino ai conni del mondo la loro parola!».
Notte e giorno sono quasi come sentinelle che di postazione in postazione trasmettono un messaggio divino. Nello stesso Salmo 19 è il sole che, come un atleta o un eroe gagliardo, corre la sua orbita quotidiana divenendo quasi un araldo del suo Creatore. Nel libretto del profeta Baruc si dice che «le stelle brillano dalle loro vedette e gioiscono. Dio le chiama per nome ed esse rispondono: Eccoci! E brillano di gioia per colui che le ha create» (3,34-35). L’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani ribadirà in modo più formale ed essenziale l’idea: «Dalla creazione del mondo in poi, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute» (1,20). Accanto alla rivelazione presente nella Bibbia, esiste un’altra parola divina, meno esplicita e diretta, ma che ogni persona umana può leggere