Caro direttore, lunedì 20 marzo era la “Giornata della felicità” e il World Happiness Report, pubblicato dall’Onu, ha indicato i «Paesi più felici», da prendere a modello. La classifica della felicità viene elaborata sulla base di fattori quali diseguaglianze, trasparenza della pubblica amministrazione e politiche sociali. Ha vinto la Norvegia prevalendo di poco sulla Danimarca, che invece ha vinto lo scorso anno. L’Italia? Solo quarantottesima.
Ma della Norvegia e della Danimarca si sono dimenticati record che fanno venire i brividi. Per esempio i suicidi. Il numero annuo classifica la “felice” Norvegia con 11,9 e la “felice” Danimarca con 11,3 suicidi ogni 100 mila abitanti, mentre la nostra Italia ha un tasso di 6,7. Da noi, poi, la percentuale di donne che ha subìto stupri o tentati stupri è del 5,4%, mentre nel Paese più felice del mondo il 10% della popolazione femminile ha subito uno stupro almeno una volta nella vita e appena l’11% delle vittime lo denuncia. Anche in Danimarca le donne non stanno meglio: il 52% racconta d’avere subìto violenza fisica o sessuale dall’età di 15 anni, mentre la stessa percentuale nella retrograda Italia è del 27%. Non solo. Nella felice Danimarca il consumo alcolico pro capite è mediamente di 11,4 litri, ben più della Norvegia (7,7). In Italia è di 6,7 litri a testa. Mah! Dall’Onu a volte arrivano messaggi così strampalati che lasciano senza parole.
GABRIELE SOLIANI - Napoli
Queste classiche le ho sempre trovate ridicole. Dipendono dai criteri usati. Che nel caso della felicità erano: il prodotto interno lordo pro capite, la speranza di vita, la libertà, la “generosità”, il sostegno sociale e l’assenza di corruzione nel Governo o per affari. A me pare che la felicità dipenda da qualcos’altro e le statistiche che tu riporti, caro Gabriele, lo dimostrano.
Mi sembrano più importanti nel “felicitometro” gli affetti familiari, le amicizie... E anche la fede in Dio che rinnova coraggio e speranza. Il Pil c’entra comunque poco. Mi fa venire in mente una fiaba di Italo Calvino, La camicia dell’uomo contento.
Il principe era sempre triste e nessuna distrazione serviva a qualcosa: teatri, balli musiche, canti. I sapienti si riunirono e dissero al re suo padre che il figlio sarebbe guarito se avesse indossato la camicia di un uomo contento in tutto e per tutto. Gli ambasciatori andarono in tutto il mondo, ma non trovarono nessuno che si accontentasse della sua condizione: il prete avrebbe avuto piacere a diventare vescovo, al monarca di un altro Paese dispiaceva dover morire e lasciare tutto, e così via. Infine trovarono un giovane che dietro i filari potava le viti e cantava allegramente. Non chiedeva nient’altro, era felice così. Il re pensò: mio figlio è salvo! Ma quando gli sbottonò la giacca gli caddero le braccia: l’uomo contento non aveva camicia.