«La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce» (Giovanni 3,19). Questa amara rilevazione che Gesù confessa al suo interlocutore notturno Nicodemo potrebbe purtroppo essere un motto anche per il Natale imminente. Esso vede, certo, il solito trionfo delle luminarie festose, ma queste luci non riescono a scacciare l’oscurità della povertà, dell’emarginazione, delle solitudini, dei profughi. Eppure noi sappiamo che la parola greca che ora consideriamo, phôs, presente 73 volte nel Nuovo Testamento, è un simbolo supremo di vita, di bontà e di verità.
«Dio disse: Sia la luce! E la luce fu» (Genesi 1,3). Da questa irradiazione che squarcia la tenebra del nulla si dipana, infatti, per tutta la Bibbia un filo luminoso che ne pervade tutte le pagine. «Dio è luce», dichiara san Giovanni nella sua Prima Lettera (1,5), svelando così il valore simbolico supremo di questa realtà fisica. Cristo stesso si presenta come «luce del mondo» (Giovanni 8,12), mentre il celebre prologo del quarto Vangelo lo dipinge nel suo ingresso nella storia e nel mondo come «la luce vera che illumina ogni uomo» (1,9). Purtroppo, continuava Gesù nel suo dialogo con Nicodemo: «Chiunque fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere» (3,19-20).
La luce è in tutte le religioni un simbolo divino perché riassume in sé due aspetti fondamentali di Dio: egli è trascendente, e la luce è appunto esterna a noi e ci supera; ma egli è anche presente nella storia umana e nella creazione, proprio come la luce che ci avvolge, ci riscalda, ci pervade e ci rivela. Per questo anche il fedele diventa luminoso: si pensi al volto di Mosè irradiato di luce, dopo essere stato in dialogo col Signore sulla vetta del Sinai (Esodo 34,33-35; 2Corinzi 3,12-18). Anche il cristiano è invitato da Cristo (che sul monte della Trasfigurazione apparirà abbagliante di luce) ad essere una lucerna posta sul lucerniere perché rischiari le tenebre circostanti: «Voi siete la luce del mondo… Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini» (Matteo 5,14-16).
Anche lo spazio e la storia umana sono intrisi di luce quando sono visitati da Dio. Pensiamo, ad esempio, all’era messianica cantata da Isaia: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce, su coloro che abitavano in una terra tenebrosa una luce rifulse» (9,1). La terra è bagnata dalla luce simbolica di Dio, lo è soprattutto la Città santa: «Alzati, Gerusalemme, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere» (60,1-3).
In quest’ultima strofa isaiana, come in molte altre pagine bibliche riproposte nella liturgia natalizia, vediamo profilarsi il contrasto tra luce e tenebra. Il buio è la negazione dell’essere, della vita, del bene, della verità. Per questa ragione gli inferi, che sono l’antipodo della luce celeste sono immersi nell’oscurità, sono «la terra delle tenebre e dell’ombra di morte, terra di oscurità e di disordine, dove la luce è come le tenebre» (Giobbe 10,21-22).
La Gerusalemme celeste, meta ultima della storia, non avrà più né tenebra né luci materiali come il sole e le lampade, perché su di essa sfolgorerà un nuovo sole e una nuova luce: «Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà. E regneranno nei secoli dei secoli» (Apocalisse 22,5). L’appello finale del grande poeta Goethe prima di morire: «Mehr Licht!», «Più luce!», potrebbe essere un motto perché i nostri giorni siano maggiormente avvolti da quella luce spirituale che Dio irradia.