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martedì 06 giugno 2023
 
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Cardinale arcivescovo e biblista

PÍSTIS: fede

La nostra parola «fede» deriva da una radice indoeuropea che allude all’atto di abbassare le difese, consegnandosi al prossimo o a Dio. Da qui i derivati «fiducia, confidenza, fidanzato, affidamento». In greco abbiamo, invece, il termine pístis, presente ben 243 volte nel Nuovo Testamento, poco più del verbo pistéuô, «credere», che ricorre 241 volte, mentre l’aggettivo pistós, «fedele, credente» è scandito 67 volte. Sviluppare il tema della fede richiederebbe uno spazio immenso perché essa costituisce l’anima stessa della religione e il filo conduttore della Bibbia. Noi ci accontenteremo ora di presentare sinteticamente solo alcune coppie tematiche.

La prima è quella che unisce fede e grazia. Il primato è da assegnare alla grazia, espressione dell’amore divino: non per nulla in greco cháris, «grazia», dà origine al nostro vocabolo «carità». Ora, l’uomo illuminato e spinto dalla grazia divina, risponde con la sua libertà che può essere adesione o rifiuto. E l’adesione libera è la pístis, la «fede», che è appunto accogliere quell’amore e contraccambiarlo.

A questo punto possiamo introdurre una seconda coppia, fede e fiducia. Il verbo ebraico che designa il credere è alla base del nostro amen e indica l’appoggiarsi fiducioso sulla parola e sulla presenza di una persona. La fede ha, quindi, un contenuto oggettivo e rivelato che la Bibbia definisce e la Tradizione approfondisce, ma è anche un’adesione soggettiva della persona a un’altra persona. Non è solo un «discorso», ma anche un «percorso» di vita, come quello drammatico che Abramo compie salendo l’erta del monte Moria, fidandosi e obbedendo a Dio anche quando la sua parola è oscura e misteriosa (Genesi 22; Ebrei 11,8).

Fede e ragione è la terza coppia, conseguente alla precedente, divenuta anche il titolo di un’enciclica di san Giovanni Paolo II (1998). La Lettera agli Ebrei dichiara, infatti, che «la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (11,1). Da un lato c’è l’affidarsi fiducioso alla speranza che ci viene fatta intuire; d’altro lato, c’è la «prova», l’argomentazione. Dante rendeva così la frase biblica: «Fede è sustanza di cose sperate, ed argomento de le non parventi» (Paradiso XXIV, 64-65). Sant’Agostino affermava che «la fede, se non è pensata e argomentata, è nulla».

Un’ultima coppia è quella di fede e opere, una connessione fondamentale nella riflessione paolina. Per l’Apostolo non sono le opere da noi compiute a ottenerci il dono trascendente della salvezza che è un «molto di più», essendo partecipazione alla stessa vita divina. Ecco, allora, la sua tesi ribadita tre volte in questo passo: «Riconosciamo che l’uomo non è giustificato dalle opere della Legge ma soltanto per la fede in Cristo Gesù. Abbiamo creduto in Cristo Gesù per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della Legge. Dalle opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno» (Galati 2,16).

Le opere, dunque, non sono la causa ma il frutto della salvezza: «Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Galati 5,22). È, quindi, necessaria anche per san Paolo la presenza delle opere come segno dell’autenticità della fede. Rimane, comunque, decisiva la fede senza la quale la religione si riduce a moralismo e a manifestazione rituale e sociale.


21 luglio 2022

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