QUEL CHE ABBIAMO VISTO E UDITO
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. Luca 2,16-21
Nel primo giorno dell’anno è naturale spingere lo sguardo in avanti, verso quel che ci aspetta, con le attese che ogni inizio porta con sé.
La Chiesa in questo giorno ci fa contemplare la Maternità di Maria, che parla dell’entrata del Figlio di Dio nella condizione di uomo. È l’inizio di una nuova epoca che la seconda lettura chiama «pienezza del tempo».
Eppure il Vangelo di questa festa registra un tipo di atteggiamento che non sembra essere orientato in avanti, ma indietro.
I pastori «riferirono ciò che del bambino era stato detto loro», Maria fissa quel che sta succedendo custodendo «tutte queste cose, meditandole nel suo cuore»; gli stessi pastori tornano indietro e sono pieni di gratitudine per quel che hanno «udito e visto»; Gesù viene chiamato con il nome che era stato indicato prima del concepimento.
Si fa tutto custodendo e ricordando indicazioni ricevute, parole ascoltate, fatti accaduti. Il problema non sembrerebbe tanto quello di andare avanti quanto quello di non farsi sfuggire quel che si ha dietro.
È il tema della memoria, della gratitudine, della custodia.
C’è chi crede che la migliore maniera di andare avanti sia cancellare la tristezza del passato e rimuovere tutto l’irrisolto buttandoselo alle spalle.
Invece, i pastori e soprattutto Maria entrano nella più grande delle novità tenendo stretti i fatti e le indicazioni del passato. La saggezza non ci piove addosso spontanea, ma è il frutto maturo della memoria e deriva dal saper rintracciare il filo rosso che unisce la nostra avventura, ed è una sintesi interiore che ci pone davanti al futuro avendo scoperto il segreto del passato.
GLORIFICARE E LODARE DIO. Per vivere bene l’anno che inizia vale la pena partire dalla gratitudine, passare in rassegna tante cose buone che ci sono successe, tanta grazia e misericordia ricevute, tanta pazienza di Dio con ognuno di noi e tanti fatti piccoli e meno piccoli che ci hanno consolato e rallegrato. È il migliore degli esami di coscienza: portare nella luce della consapevolezza quello che abbiamo visto e udito di bello, di luminoso, di importante. Di non farsi scivolare addosso la vita da superficiali, ma di fare come i pastori: glorificare e lodare Dio per tutto quel che abbiamo udito e visto.
Dicevano i Padri del deserto del quarto secolo che la radice del peccato è la smemoratezza. Mi dimentico di quanto ho visto e udito, mi scordo di quanto Dio mi voglia bene e allora cado nelle mie paure, mi impantano nei miei terrori. E ricado nella mia pusillanimità.
Mi devo ricordare quello che ho vissuto. Il male – per non ricaderci – e il bene – per ripercorrerne la strada.
Mi devo ricordare il mio dolore, perché mi tiene i piedi per terra e mi consente di avere compassione di fronte al dolore altrui. Mi devo ricordare la felicità, perché debbo sapere che non è una chimera, ma è parte della mia vita e non la devo dimenticare.
Devo ricordare tutto quel che mi serve per camminare bene. Diceva san Pio da Pietrelcina: il passato alla misericordia, il presente alla grazia, il futuro alla provvidenza.