Non poteva mancare nella nostra ormai lunga lista di parole fondamentali dell’Antico Testamento quella di Satana, trascrizione di un vocabolo ebraico che significa «avversario» e che è presente solo 27 volte, meno che nel Nuovo Testamento ove appare 36 volte, oltre al greco diàbolos, il «Divisore», citato 37 volte. Strettamente parlando, questo termine non è usato sempre nel senso negativo demoniaco e diabolico. Il suo significato «ostile» può, infatti, essere applicato in senso positivo.
È il caso del Satàn che entra in scena ben 14 volte nel prologo del libro di Giobbe, ove è presentato come un membro della corte angelica celeste. La sua è quella che potremmo definire come la carica di un nostro «pubblico ministero», che ha il compito di denunciare presso il trono divino i peccati degli uomini. Infatti egli è incaricato da Dio di vagliare l’autenticità della fede di Giobbe, da lui messa in causa: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla» (1,9), considerato il benessere in cui vive?
E il Signore gli concede carta bianca per verificare la verità della fedeltà di Giobbe: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stendere la mano su di lui» (1,12). E, così, inizia la drammatica avventura di questo giusto che rimarrà lo stesso fedele – anche se non ciecamente – al suo Signore, misterioso nel suo agire. Ma, fuori di questo caso e di alcuni altri, Satana si configura come una presenza oscura che tenta di far pendere la bilancia della libertà umana verso il male, in opposizione alla grazia divina che la orienta e la sostiene verso il bene.
Così, spinge Davide a compiere un atto politico di orgoglio: «Satana insorse contro Israele e incitò Davide a fare il censimento di Israele» (1Cronache 21,1). Il Salmista, in uno dei testi imprecatori contro il nemico, chiede a Dio di «suscitare un malvagio contro il suo avversario, un Satana che stia alla sua destra», nella posizione tipica dell’accusatore, a fianco del condannato, così che «citato in giudizio, ne esca colpevole» (Salmo 109,6-7). È evidente anche in questo contesto l’atmosfera di tipo giudiziario, che è alla base del termine Satàn.
Il libro della Sapienza, che è composto in greco, identifica in Satana il serpente tentatore della Genesi, dando il via a un’interpretazione che sarà dominante nella tradizione giudaica e cristiana: «È per invidia del diavolo che la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono» (2,24). Naturalmente in greco si ha il termine diàbolos. Le concezioni popolari si sono poi allargate nelle rappresentazioni sataniche, anche con eccessi ben noti, così come il magistero ecclesiale, la teologia e la liturgia hanno sviluppato in modo più accurato il tema della presenza diabolica e della sua azione antitetica rispetto a quella divina che ha pur sempre il primato.
A rendere il discorso più lieve ma non meno efficace, concludiamo con le voci di due scrittori francesi agnostici. Charles Baudelaire (1821-1867): «La più grande astuzia di Satana è farci credere che non esista». André Gide (1869-1951): «Non credo nel diavolo; ma è proprio quello che il diavolo spera: che non si creda in lui».