Tra i vari significati dell’acqua nelle Scritture c’è anche l’annuncio dell’era messianica che porta alla rinascita dell’umanità. Gesù stesso lo fa intendere nel dialogo con la samaritana
Certo, non è mai mancata anche l’ironia quando si parla di acqua, soprattutto da parte di chi si lascia tentare da ben altre bevande. Divertente è una battuta del saggio sul Vino e l’acqua composto dallo scrittore cattolico inglese Gilbert K. Chesterton (1874-1936), creatore del famoso prete- detective padre Brown: «Noè diceva spesso a sua moglie, quando si sedeva a tavola: Non m’importa dove va l’acqua, purché non vada nel vino». Da alcune settimane noi abbiamo, invece, dirottato l’acqua presente in tante pagine della Bibbia nella nostra rubrica dedicata all’ecologia integrale, così come le Sacre Scritture ce la tratteggiano.
Oltre a essere un simbolo di Dio stesso, principio della vita fisica e spirituale, l’acqua è anche segno della sapienza divina effusa in Israele. È ciò che illustra un sapiente biblico vissuto nel II sec. a.C., il Siracide, che ricorre a immagini pittoresche e realistiche per rafgurare questa effusione abbondante, introducendo anche la voce della stessa sapienza divina personicata: «Essa trabocca di sapienza come il Pison [ume dell’Eden] e come il Tigri nella stagione delle primizie, effonde intelligenza come l’Eufrate e come il Giordano nei giorni della mietitura… Come un canale che esce da un fiume e come un acquedotto che entra in un giardino, ho detto: Innaffierò il mio giardino e irrigherò la mia aiuola» (24,25-26.30-31).
C’è però un altro valore simbolico. L’acqua annunzia l’era messianica e la rinascita dell’umanità: «Scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa; la terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua» (Isaia 35,6-7). Anzi, l’acqua diventa l’emblema dello stesso Cristo, come si intuisce nel celebre dialogo con la samaritana: «Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna » (Giovanni 4,14). È per questo che l’evangelista testimonia con insistenza che dal costato del Cristo crocisso «uscì sangue e acqua» (19,34). Gesù, durante la festa ebraica delle Capanne (che comprendeva proprio un rituale secondo il quale si attingeva l’acqua dalla sorgente di Siloe e la si versava sull’altare degli olocausti nel tempio di Sion), aveva esclamato: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno umi di acqua viva. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui» (Giovanni 7,37-39).
L’acqua, allora, è immagine della vita nuova del fedele, che con essa si purica il cuore dal male («Lavami tutto dalla mia colpa», Salmo 51,4) secondo quel rito lustrale che è presente in quasi tutte le culture religiose, a partire dalle aspersioni liturgiche. Essa rappresenta, però, anche la rigenerazione interiore, destinata a dare frutti di giustizia: «Il giusto è come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono» (Salmo 1,3).
Ma l’acqua rimane soprattutto il simbolo supremo di quel Dio di cui l’uomo ha sempre sete ed è questa la costante preghiera di tutti coloro che cercano Dio con cuore sincero: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia [letteralmente «la mia gola»] ha sete di Dio, del Dio vivente… Dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua» (Salmo 42,2-3; 63,2).