Dove c’è una fame, facciamoci pane
«Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla». Luca 9,16
Al termine del tempo pasquale la liturgia riprende il ricordo dell’Eucaristia e della istituzione del sacramento con cui Gesù ha scelto di rimanere in mezzo a noi per sempre. L’evangelista Luca mostra come nel mezzo del deserto, al calar della notte, Dio ripete gli antichi prodigi della storia del suo popolo; sebbene gli uomini credano di essere soli e abbandonati, Gesù si ritrova in mezzo a loro e distribuisce a piene mani il suo mistero: insegna, guarisce, offre cibo. Per mezzo di Gesù, Dio si rivela come colui che offre l’alimento della vita al popolo.
In prospettiva ecclesiale, il miracolo è divenuto un’anticipazione di ciò che compirà uno o due anni dopo all’interno della sala del cenacolo nell’ultima sera della sua vita terrena. Egli «prende i pani, leva gli occhi al cielo, li benedice, li spezza e li dà ai discepoli». Per capire, gustare, assaporare l’Eucaristia è necessario prendere coscienza della fame che abita dentro di noi e rode in profondità le risorse del nostro vivere abituale.
Si partecipa alla celebrazione eucaristica non per un senso del dovere o per i valori simbolici che essa esprime, ma perché si è mossi da una fame profonda. Per rimediare a questa fame Gesù ci parla di pane, quasi a ricordarci che non si tratta di un mangiare in senso metaforico, ma di un mangiare concreto, come concreto è un pane che compare sulla nostra tavola, come concreto era il pane che egli aveva moltiplicato per sfamare la folla che lo seguiva.
È Dio che in qualche modo si rende presente nel pane così che questo viene a intridersi di una luce particolare. Nell’Eucaristia riscontriamo il pieno avverarsi di quel progetto di amore per cui il figlio di Dio è disceso dal cielo, si è abbassato fino a farsi carne e sangue come uno di noi. Ma con l’incarnazione non aveva ancora toccato l’ultima soglia della sua divina umiltà. Cristo non ci dà soltanto una dottrina o un modello da imita re. E neppure ci dà solo la presenza dell’Emmanuele, del Dio con noi, ma la presenza di un Dio che è in noi come è in noi il pane che noi mangiamo. Se poteva bastare toccare le frange del mantello di Gesù per sentirsi miracolati, abbiamo mai pensato quale forza potrebbe esprimere l’Eucaristia che le liturgie orientali chiamano “fuoco e Spirito”?
Questa riflessione ci permette di renderci conto del valore che hanno le nostre celebrazioni eucaristiche. Quando possiamo dire di avere partecipato a una Messa che fosse veramente viva? Ci capita talvolta di confidare: “Ho partecipato a una bella Messa”. Perché è stata bella? Forse perché i canti eseguiti dal coro erano stati preparati con molta cura? O anche perché c’è stato qualcuno che ha parlato molto bene, spiegando il Vangelo?
Una Messa è bella quando, comunicando con la presenza reale di Cristo, diventiamo noi stessi presenza reale di Cristo nel mondo. A volte siamo troppo preoccupati di noi stessi. Ci sono persone che pregano e fanno la comunione per godere della sua presenza pacificante e rassicurante. Ma non è questo un modo esemplare di vivere l’Eucaristia. Fare la comunione è nutrirsi della sua presenza viva, dei suoi pensieri, del suo amore così da allargare i confini del nostro cuore. Si viene alla Messa come mendicanti e si ritorna come donatori.