Questo termine rappresenta il cuore della fede, della morale e della spiritualità giudaica. Indica la strada giusta da seguire, un vero e proprio orientamento nella vita personale e sociale
Siamo convinti che più di un lettore o lettrice conosce la parola ebraica che ora presentiamo, tôrah, e forse sa che è solitamente tradotta con «legge» e che è usata per indicare i primi cinque libri della Bibbia, quelli che noi designiamo come Pentateuco (in greco, «cinque teche» che custodiscono altrettanti libri sacri). L’elenco è noto: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. Nelle sinagoghe questi libri, scritti a mano su un unico imponente rotolo di pergamena, sono posti al centro dell’abside con una lampada sempre ardente.
La tôrah, termine che risuona 220 volte nell’Antico Testamento, è, infatti, il cuore della fede, della morale e della spiritualità giudaica. Detto questo, dobbiamo però riconoscere che la traduzione «legge» è valida ma insufficiente a svelare la ricchezza sottesa al vocabolo ebraico. Esso, infatti, deriva da una radice verbale che signica «lanciare, indicare col dito, mostrare una direzione». È per questo che una versione più precisa rimanda all’idea di «istruzione, insegnamento, guida», così da seguire la strada giusta nella vita, come afferma il salmista in un monumentale canto dedicato proprio alla tôrah divina: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino » (Salmo 119,105).
Il concetto di «istruzione» appare chiaramente, per esempio, in questo passo del libro dei Proverbi: «Ascolta, figlio mio, l’istruzione di tuo padre, non disprezzare l’insegnamento (tôrah) di tua madre» (1,8). Il profeta Malachia, invece, metteva in scena i sacerdoti e la loro missione di catechesi della fede con questa affermazione: «Le labbra del sacerdote devono custodire la sapienza e dalla sua bocca si ricerca l’insegnamento (tôrah)» (2,7).
Ma progressivamente si fa strada l’idea che l’istruzione fondamentale è da trovare nella parola di Dio, espressa nella Sacra Scrittura. Ecco, allora, quel signicato che è divenuto dominante e che è ben espresso in questa esortazione che il Signore rivolge a Giosuè, il successore di Mosè nella guida di Israele verso la terra promessa: «Non si allontani mai dalla tua bocca il libro di questa legge (tôrah), meditalo giorno e notte, per osservare e mettere in pratica tutto quanto vi è scritto; così porterai a buon ne il tuo cammino e avrai successo» (Giosuè 1,8).
Similmente, quando Israele tornerà nella sua terra dopo la parentesi amara dell’esilio babilonese, sarà il sacerdote Esdra, che espletava anche le funzioni di capo politico, a proporre la tôrah, ossia la legge biblica, quasi a carta costituzionale del nuovo Stato. «Infatti Esdra si era dedicato con tutto il cuore a studiare la legge (tôrah) del Signore e a praticarla e a insegnare in Israele le leggi e le norme» (Esdra 7,10). Anzi, in un solenne atto pubblico a Gerusalemme proclamerà «il libro della legge (tôrah) di Mosè… davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere» (si legga il mirabile racconto di quell’evento nel capitolo 8 del libro di Neemia).
La tôrah è quindi la parola di Dio, è l’anima che regge l’esistenza del singolo fedele ma anche di tutta la comunità. Non è solo una legge, ma un vero e proprio orientamento della vita personale e sociale. Come scriveva un noto studioso ebreo, André Chouraqui, «la tôrah è la via, la verità, la vita, il modello divino che permette di essere pienamente figli di Dio. Ci libera dal limite della nostra condizione carnale e ci introduce nella nostra vocazione soprannaturale».