«La statua della libertà non è ancora fusa, il forno è rovente e tutti possiamo scottarci le dita». Questa immagine del drammaturgo ottocentesco tedesco Georg Büchner delinea in modo efficace la delicatezza con cui dev’essere maneggiata questa qualità fondamentale, e mai del tutto compiutamente plasmata, tipica della persona umana. Nel viaggio che stiamo proponendo lungo le strade dei vizi e delle virtù abbiamo già fatto balenare l’importanza della scelta individuale nei confronti del bene e del male e della conseguente responsabilità morale.
Sappiamo, però, che la cultura contemporanea ha introdotto interpretazioni inedite, studiando da nuove angolature la libertà umana e sottolineandone i condizionamenti. Una vera e propria rivoluzione è stata operata dall’ingresso della psicoanalisi che tendenzialmente ha sottratto il vizio al terreno della morale per introdurlo in quello della patologia psichica. Famosa è la figura di Sigmund Freud (1856-1939) che aveva identificato, all’interno di un sistema di pensiero molto articolato, due pulsioni fondamentali nell’essere umano, la fame e la sessualità (libido). Se assumono una forma patologica (che la morale tradizionale considerava come vizio), è necessario affidarli alla cura psicologica o psichiatrica, lasciando da parte ogni giudizio etico.
In tal modo, nozioni come «colpa» o «peccato» si spogliano della loro dimensione morale o religiosa e vengono considerate solo come tensioni interiori, condizionamenti storici, riflessi sociali, nevrosi da classificare come sindromi da cui uscire attraverso una terapia. Il peccatore si trasforma, così, in paziente e al confessore si sostituisce lo psicoterapeuta. In ultima analisi, il vizio è spesso ricondotto alla devianza da modelli personali e sociali che non hanno in sé valori etici permanenti e universali ma che si plasmano secondo i tempi, le culture, i gruppi. Si emargina, così, la dimensione morale che ha un riferimento oggettivo nelle categorie definite di bene e di male.
Certo, quella che abbiamo finora descritto è solo una sorta di succo di una concezione e di una pratica ben più profonda e complessa. È evidente che la funzione della psicologia può essere rilevante in molte situazioni di crisi, di devianza, di patologie e deve essere adottata in modo accurato. Tuttavia bisogna ribadire che la visione della persona umana e della sua libertà, insegnata dalla tradizione morale in vigore da secoli, conserva un nucleo fondamentale valido. Le scelte personali e sociali hanno una stella polare fissa che distingue la sostanza del giusto e dell’ingiusto e che guida nelle scelte di fondo dei singoli e dei gruppi. È facile rimandare al filosofo Aristotele, ripreso da san Tommaso d’Aquino, secondo il quale – come si diceva nel latino medievale – agere sequitur esse, l’essere in sé della persona precede l’agire umano e lo orienta e conduce.
Concludendo, la libertà della persona può compiere scelte antitetiche e si ha il vizio. Si possono, però, avere anche condizionamenti fisici, psichici e sociali che deformano la libertà, e qui può subentrare la terapia psicologica. Rimane, comunque, fermo il celebre detto del filosofo Immanuel Kant: «Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me». A questo punto, dopo il discorso generale che abbiamo finora condotto, è giunto il momento di inoltrarci in un orizzonte concreto: è quello che è stato classificato sotto la categoria dei «sette vizi capitali».