Pieni di gioia, inviati per la salvezza
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe». Luca 10,1-2
Quasi a metà del Tempo Ordinario la Chiesa ci chiama alla gioia: tutte le letture invitano a esultare nel Signore, Dio di Pace e di Misericordia. «Rallegratevi con Gerusalemme, quanti l’amate»: verso di essa scorrerà, come un fiume, la pace, i suoi figli saranno consolati, Dio li colmerà di gioia (I lettura). Il salmo benedice il Signore, Salvatore potente e Dio di tutta la terra: «Per questo in Lui esultiamo di gioia»; «Egli non ha negato la sua misericordia». San Paolo spiega ai Galati di non volere altro vanto se non nella croce di Cristo: in Lui siamo nuove creature e abbiamo pace e misericordia, non per i nostri meriti né per privilegi di nascita o di opere, ma per la sua grazia e per la salvezza che Egli ci ha ottenuto nel suo sangue (II lettura). Emerge così la ragione dell’autentica gioia cristiana, che nessuno ci potrà togliere (Giovanni 16,22): essa viene dall’esperienza della salvezza, dall’aver incontrato Gesù, averlo seguito fino alla croce, averlo visto risorto e vivo.
La gloria del Salvatore è la radice della nostra gioia di discepoli: Egli muta il lamento in danza (Salmo 30), la steppa in sorgenti d’acqua (Isaia 35), dona la vita abbondante che non ha fine. Per questo non ci rallegriamo di miracoli e fatti straordinari che dovessero avvenire attraverso la nostra azione, ma di quanto è essenziale: «che i nostri nomi sono scritti nei Cieli» (Vangelo). Questa gioia è per tutti: è la gioia dei salvati, di quanti sanno di essere nel palmo della mano di Dio e vivono la propria chiamata senza cercare di eccellere o di avere segni, ma con la pace nel cuore e con quotidiana perseveranza.
La scorsa domenica Gesù ci ha invitati a una sequela radicale fino a Gerusalemme; oggi la liturgia mostra che chi segue Lui è da Lui inviato: Luca, attento alle comunità che vengono dal paganesimo, introduce la missione dei 72 discepoli. Il numero è simbolico: ha a che fare con le versioni greche della Bibbia (quelle destinate a quanti non vengono originariamente dall’Ebraismo) ed è multiplo di 12, che evoca la totalità dei chiamati, le famiglie dei figli di Israele, gli Apostoli. Gesù designa i 72 e li manda a due a due: tutti siamo inviati, insieme, non da soli, perché siamo fatti per la relazione, con Dio e con i fratelli, e in essa troviamo pienezza. Due sono gli sposi, inviati insieme al mondo ad annunciare Cristo nella loro stessa carne e nella comunione della loro vita; in due vanno questi discepoli, che cooperano con Gesù e con gli apostoli, che sono Chiesa e collaborano per l’annuncio del Vangelo.
SCELTI E MANDATI Gesù li invia avanti a sé, a preparare il suo arrivo: quanti lo seguono e vanno dietro di Lui possono poi precederlo «in ogni città e luogo dove Egli sta per recarsi». Che missione meravigliosa! Noi, che ci rallegriamo con Gerusalemme, immagine della Chiesa Madre, che “allatta” i suoi figli con i sacramenti della vita, precediamo e prepariamo l’arrivo di Gesù dove Lui sta per recarsi, nella casa, nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella politica. Non c’è un posto dove Cristo non voglia portare la vita vera che Egli è e dona. Per farlo si serve di ciascuno di noi e ci manda, insieme, ad annunciare Lui con la nostra stessa vita.