Figli dell'unico Padre, fratelli tra noi
Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno». Matteo 23,1-3
«Gesù è ancora nel Tempio di Gerusalemme e, dopo le discussioni con scribi, farisei, dottori della Legge, sadducei, «si rivolge alla folla e ai suoi discepoli»: gli interlocutori che predilige sono persone semplici, disposte ad ascoltare e ad accogliere insegnamenti di Verità, per questo potenzialmente più esposte all’inganno e alla tirannia di chi vive orgogliosamente, trincerato nel suo sapere e nella sua intelligenza, e ritiene di avere solo da insegnare e niente da imparare. «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti scribi e farisei.
«Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché dicono e non fanno!» (Matteo 23,2-3). È un rischio concreto per tutti: la conoscenza e l’osservanza dei precetti può rendere orgogliosi e fieri e indurre ad agire non secondo Verità, ma «per essere ammirati dalla gente», per «compiacersi dei posti d’onore, dei saluti nelle piazze, di essere chiamati “maestri”, “padri”, “guide”». Tutta la liturgia insiste oggi su questa tentazione, che insidia in particolare le persone di fede: il profeta Malachia rimprovera «i sacerdoti» perché «deviano dalla retta via e sono di inciampo a molti con il loro insegnamento» (I lettura); San Paolo, che dopo aver «perseguitato la Via» di Gesù ne ha accolto compiutamente la rivelazione (cfr. Atti 22,4), scrive ai Tessalonicesi di aver improntato il suo rapporto con loro alla carità, non al potere, «come una madre che ha cura dei propri figli», col «desiderio di trasmettere non solo il Vangelo di Dio, ma la sua stessa vita», «lavorando notte e giorno per non essere di peso a nessuno» (II lettura). La chiamata di tutti gli uomini, nella Creazione, è «coltivare e custodire il giardino» a immagine di Dio, vicariando la sua potestà di amore e di sollecitudine (cfr. Genesi 1,27-28; 2,15); quanti hanno responsabilità sulle persone (politici, amministratori, guide spirituali) assumono il compito di custodirle e orientarle sul modello di Dio, «Re grande», «unico Padre» di tutti noi (Malachia 1,14.2,10; Matteo 23,9).
Il desiderio di supremazia viene dal maligno (Genesi 3), che minaccia la nostra dimensione creaturale, filiale e di fraternità, e ci induce ad agire come se Dio non ci fosse: solo Lui è «grande», in ebraico rab, da cui viene il termine rabbi, che definisce il “maestro” (magister, dal latino magis, più); solo Lui è Padre di tutti, e noi «siamo tutti fratelli»; chi «è più grande sarà servo di tutti»: Gesù invita a conservare un atteggiamento di umiltà e di servizio, lo stesso assunto da Lui, l’unico Maestro, che «da ricco che era, si è fatto povero» (2Corinzi 8,9), «ha svuotato se stesso, assumendo la condizione di servo e diventando simile agli uomini, e si è umiliato facendosi obbediente fino alla morte» (Filippesi 2,7-8). Il credente custodisce «un cuore che non si esalta» e «occhi che non guardano in alto» perché, qualunque sia la missione che gli è affidata, rimane un figlio del Padre, con Lui «sereno come un bimbo in braccio alla sua mamma» (Salmo 130, Responsorio).