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venerdì 21 marzo 2025
 
Rito romano Aggiornamenti rss don Gianni Carozza

XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - 3 novembre 2019

Soltanto Cristo mi sa consegnare a me stesso

Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo».

Luca 19,1-10

Il Vangelo di questa domenica racconta la storia di Zacchèo, ricco capo dei pubblicani; è lecito pensare che questo uomo, incallito nel suo losco potere, sia al di là di ogni speranza di salvezza.

Ma Gesù va proprio a casa di questo ricco malfamato. Perché?

Nella prima lettura si dice che Dio non prova disgusto per niente di ciò che ha creato. La magnanimità di Dio vede qualcosa di prezioso in ogni creatura. Dio conduce la nostra storia – fatta di correzioni e di consolazioni, di tribolazioni e di grazie – come una strategia di salvezza: «Tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano… perché, messa da parte ogni malizia, credano in te».

Il Vangelo dice, infatti, che «il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Se qualcosa non c’è, non ci si preoccupa di cercarla. E quando siamo sicuri che una cosa si trovi in un posto continuiamo a scartabellare, perché pensiamo di trovarla. Luca stesso racconta la parabola della donna che continua a spazzare finché non trova la moneta perduta.

Quando Gesù va a casa di Zacchèo, cerca qualcosa: sta rintracciando un figlio di Abramo, nascosto in questo esattore delle tasse; non pensa che Zacchèo sia un peccatore – come pensa la gente: «È entrato in casa di un peccatore!» –, ma è convinto di essere entrato in casa di un israelita, un figlio di Abramo. E ha ragione.

Gesù sta cercando ciò che ogni evangelizzatore cerca in chi lo ascolta: un figlio di Dio. Gesù è il mercante che cerca la perla preziosa di Matteo 13 e quando la trova dà tutto per averla. Annunziare il Vangelo non significa “mettere in ordine” o “aggiustare” le persone, ma cercare l’opera di Dio che è latente in ogni uomo e trovare così il cuore di chi lo ascolta.

Gesù vede un uomo su un albero e capisce che è una persona pronta a tornare in sé. Zacchèo, infatti, cercando di vedere Gesù, sta inconsapevolmente cercando qualcosa da questo strano maestro che sta passando. Che importanza può avere per lui che un famoso predicatore passi dalle sue parti? Zacchèo cerca qualcosa e Gesù coglie quella porticina aperta e ci entra.

COSA È DENTRO L’UOMO. Quanta inquietudine nel cuore umano! E quante ricerche inutili. Perché nessuno è veramente sé stesso o sente di essere al suo posto fino a quando Cristo non entra nella nostra casa. Diceva san Giovanni Paolo II: «Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!».

Mille volte ci si inganna su di sé. Ma Cristo sa cosa veramente siamo. Lui sa una cosa: che siamo preziosi. Ed è per questo che gli sembra opportuno andare in croce per noi. Ne vale la pena.

La prima lettura dice al Padre: «Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita».

Chi è Zacchèo? Cristo lo sa, appunto. Chi sono io? Cristo lo sa. Solo Cristo mi sa consegnare a me stesso.

Cristo consegna Zacchèo a sé stesso e questo capo dei pubblicani trova il suo cuore e – sorpresa! – è un cuore generoso: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri». E c’è tanta gioia. Ovvio: l’amore è la nostra verità


02 novembre 2019

 
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