Il racconto intende rispondere all’obiezione che sorgeva nel lettore dopo aver appreso dell’unica origine della famiglia umana (Gen 10), quando invece constatava l’esistenza di popoli aventi lingue diverse e che vivevano in ostilità. Si tratta, dunque, di un’eziologia, come si ricava anche dall’interpretazione finale del nome della città (v. 9: “Babele”, Babilonia, ha assonanza con il verbo ebraico balal, “confondere”; in realtà deriva dall’accadico bab-ilu, “porta di Dio”). L’autore si esprime nel linguaggio mitico del “castigo” di Dio, che interviene a confondere e dividere, per mostrare come sia destinato al fallimento il progetto umano di autoglorificarsi ergendosi al livello divino (v. 4: «una torre la cui cima tocchi il cielo, facciamoci un nome»). Inoltre fin dalla creazione Dio era intervenuto affinché proprio a partire dalla diversità – e non dall’uniformità – si tendesse all’armonia e all’unità. Vi è anche una sottile ironia nei riguardi della religione babilonese in cui le alte torri (ziqqurrat, tipica delle città mesopotamiche) rappresentavano l’abitazione del dio nazionale.
Babele e il caos: è Dio che divide?
6 novembre 2012 • 14:00
Nell’episodio della torre di Babele (Gen 11,1-9), Dio confonde le lingue: come mai lui che vuole l’unione tra i popoli e l’accoglienza dello straniero, immette nel mondo una delle cause più rilevanti di divisione?
Giulio M.


