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«Ho scoperto Pier Giorgio molto tardi, nel 1975, in occasione dei 50 anni dalla sua morte, e ne sono rimasta affascinata». Wanda Gawronska, 95 anni, scioglie i ricordi, nella sua casa di Trastevere, a Roma, circondata dagli scritti e dalle foto del fratello di sua madre. Che per lei è «Pier Giorgio, non zio. Per sempre più giovane di me».
Come fu quell’incontro?
«Mia madre Luciana voleva fare una mostra di fotografie su Pier Giorgio al palazzo del Comune, a Torino, e mi chiese, visto che ero fotografa, di aiutarla. Mi sono chiesta come potevo fare visto che non sapevo nulla di questo suo fratello. Allora ho cominciato a leggere e ne sono rimasta conquistata. Da allora l’ho seguito passo passo».
Cosa l’affascinava?
«Tutto. La coerenza, la capacità di essere così “normale”, di essere quello che era senza essere differente da tutti i giovani che conosciamo, che vanno all’università, che fanno sport, che studiano. E poi, certamente la sua capacità di essere sempre dappertutto dove c’era bisogno. Questa è la cosa che mi colpisce ancora oggi: la presenza. Che fosse l’ospedale, la prigione, che fossero i sindacati, uno sciopero, uno che sta morendo o i poveri, lui era lì. Non so come facesse, ma veramente, a Torino era ovunque. Questo mi affascinava. E anche il fatto che fosse un uomo pieno di fede, ma senza sdolcinature».
E cos’altro?
«Il suo modo di essere laico. Pier Giorgio è stato un precursore del ruolo del laicato che la Chiesa riconoscerà, con il Concilio Vaticano II e il decreto Apostolicam actuositatem del 1965, solo quarant’anni dopo. Lui, invece, già intuisce che il laico deve far parte della Chiesa e deve collaborare in tutto con la gerarchia. E questo colpisce perché lo fa in un modo talmente moderno, però normale, secondo la logica del cristianesimo, che è ancora molto attuale. Credo sia per questo che oggi i giovani del mondo intero lo considerano un loro compagno di strada».
Che testimonianze le sono arrivate da questi giovani?
«Tantissime. Con l’Associazione Pier Giorgio Frassati abbiamo contribuito a farlo conoscere anche all’estero. Grazie anche alla mia conoscenza di molte lingue, ho potuto avere un contatto diretto con questi giovani. La cosa che mi colpisce è sempre la gioia di questi ragazzi, il loro entusiasmo. Pier Giorgio per loro è davvero un amico. In tanti vengono in pellegrinaggio a Pollone, dove c’è la villa di famiglia, e scoprono questa sua vita piena. Ai suoi amici di allora, ma anche ai giovani di ogni tempo Pier Giorgio continua a dire che bisogna “vivere, non vivacchiare”. E non c’è dubbio che lui abbia vissuto la vita a pieno, con questa fede in Cristo. Credo che non abbia mai fatto nulla, compresi gli scherzi, che non fosse stato dettato dall’amore del prossimo e dalla carità. Il suo esempio oggi, in un mondo che vive di piccolezze, è che si può vivere in grande»



