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Il pellegrinaggio di papa Francesco in alcuni luoghi particolarmente cari alla devozione popolare non è un esempio, ma un simbolo: un gesto compiuto in solitudine e nel deserto di una città attonita e preoccupata. Se infatti tutti noi ci sentissimo autorizzati a compiere lo stesso gesto, a parte che potremmo essere perseguiti dalla legge, non avremmo compreso il senso profondo che, a mio parere, ha animato questa scelta del vescovo di Roma. Dobbiamo pensare che in quell’andare a cercare i luoghi più significativi della fede e della religiosità popolare, ci siamo tutti noi. Il papa ci ha rappresentati e ha espresso in maniera personale e rappresentativa ciò che tutti noi vorremo, ma non possiamo fare. Questo è il senso della rappresentanza: papa Francesco ci ha rappresentati e ci rappresenta, proprio perché siamo rinchiusi nelle nostre abitazioni e dobbiamo essere fedeli a questa indicazione, che per noi è anche una scelta.
La fede si esprime in gesti e parole (come dice la Dei Verbum 2). In questo momento ci mancano i gesti: gli abbracci, le carezze, i baci: «La cosa capita non redime la cosa sofferta, e la parola senza bacio lascia più sole le labbra», scriveva il grande poeta Clemente Rebora. I gesti ci mancano, come ci manca l’Eucaristia vissuta e celebrata, e non basta la sua rappresentazione mediatica e televisiva a colmare questa distanza. Il Papa ha compiuto un gesto per tutti noi, in nome e per conto di tutti e di ciascuno, e ciò può colmare, almeno in parte, la nostra solitudine e confortare l’attesa di quando potremo direttamente e personalmente compiere gesti sacramentali di amore e non solo esprimerci con parole e messaggi,più o meno virtuali.



