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“Si vis pacem para pacem”: è con altre parole che la dottrina sociale della Chiesa chiede di affrontare la situazione attuale, dice padre Francesco Occhetta. Mentre all’Aia si discute l’aumento delle spese militari al 5%, e la premier Meloni difende la scelta in Parlamento in nome della sicurezza, una parte del mondo cattolico, in sintonia con i ripetuti appelli alla pace di papa Leone, lancia una proposta che ha il sapore della profezia e l’amara consapevolezza dell’urgenza. Istituire un Ministero della pace, chiedono oltre 30 associazioni, enti ecclesiali, civili, laici. Si sono incontrati il 24 giugno, a Roma, presso la domus Mariae, ospiti dell’Azione cattolica, che con Acli, la fondazione Fratelli Tutti, la Giovanni XXIII è stata tra i promotori dell’incontro.
Le quattro realtà ecclesiali partono dalla considerazione che nel 2024 abbiamo registrato 59 conflitti, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale. E parallelamente la spesa globale in armamenti ha raggiunto un record assoluto con ben 2,46 trilioni di dollari. «Gli investimenti nelle dotazioni di armamenti si sono rivelate incapaci a risolvere le situazioni di crisi. Anzi, nella maggior parte dei casi, ne sono stati una delle principali concause», si legge nel manifesto a sostegno del progetto. «Creare istituzioni più sane, ordinamenti più giusti, strutture più solidali», come afferma la Fratelli Tutti, è il mandato profondo che ispira la Campagna, che è partita nel 2017, dall’intuizione di don Oreste Benzi («promuovere la pace significa organizzarla»). Il fondatore della comunità Giovanni XXIII aveva ascoltato il grido delle vittime del conflitto nei Balcani negli anni 90. «I signori della guerra, la propaganda, ci ha fatto diventare nemici in un battibaleno. Mogli e figli, vicini di casa, persone che il giorno prima erano amici, sono diventate nemici. Siamo stati succubi di quella propaganda perché non eravamo preparati. Bisogna educare la pace, le istituzioni devono lavorare per la pace».


Da quel grido è nata la riflessione che ha portato alla proposta di creare un ministero di pace, racconta Laila Simoncelli, 57 anni, esperta di diritti umani, avvocata, che con la comunità fondata da don Benzi ha visitato diversi paesi con il corpo civile non violento dell’Operazione Colomba, ed è la coordinatrice nazionale della campagna Ministero della Pace. «Stiamo cercando da tempo di sensibilizzare i territori, i decisori politici e gli amministratori sulla necessità urgente di invertire la rotta e di cominciare davvero a costruire politiche di pace, come chiede la nostra Costituzione. L’obiettivo è anche trovare un coordinamento che finalmente possa unire le competenze frammentate tra diversi ministeri, dare una casa istituzionale a quelle del terzo settore e di tutti i costruttori di pace che in questo Paese tengono in piedi la coesione sociale».
In questo momento in cui c’è una situazione di guerra internazionale e una corsa al riarmo, la vostra sembra proprio la voce di qualcuno che grida nel deserto. Una profezia che resta lì o c'è qualche possibilità concreta?
«Innanzitutto, proprio perché c'è questo dilagare della violenza, è importante che noi coltiviamo gli anticorpi di coloro che credono nella pace, nelle politiche di pace, altrimenti non ci sarà nessun argine a questa deriva che stiamo prendendo. E quindi, in ogni caso, richiamare e rivendicare la dignità della pace è fondamentale proprio in questo momento storico. Inoltre, proprio perché vediamo a cosa ci sta portando la trascuratezza della pace e la mancanza di politiche di pace attive, c'è una sensibilità nuova anche tra i decisori politici. Sicuramente non vedo all'orizzonte l'immediata istituzione di questo ministero, ma le esperienze che questo ministero dovrebbe coordinare già esistono, e ciò che esiste è possibile. Dobbiamo riportare con i piedi per terra le istituzioni, i cittadini e fare capire che quelle esperienze di pace che già esistono possono essere messe a regia per invertire questa rotta deleteria che ci sta riportando indietro nella storia. Si tratta di istituire un nuovo dicastero ministeriale, facendo riferimento al principio di specificità delle funzioni amministrative, al principio di sussidiarietà e all'articolo 11 della Costituzione. Abbiamo pensato alla costituzione di diversi dipartimenti, cinque, con due organi fondamentali: la Consulta di coprogettazione e coprogrammazione del terzo settore, che si occupa di tutti i dossier di pace, e un Comitato interministeriale, in modo da mettere a regime, a livello strutturale, le esperienze già esistenti».
Mi fa un esempio?
«La trasformazione non violenta dei conflitti, la comunicazione non violenta, l'approccio scolastico dei principi della giustizia riparativa, sono cose che già si fanno. Il terzo settore ha delle grandi competenze, essenziali per le nostre giovani generazioni; se ci fosse il Ministero della Pace con il suo Dipartimento di istruzione e con il Comitato interministeriale, potremmo far entrare in maniera strutturale queste competenze all'interno dei curriculum scolastici. Allo stesso modo quella che è la difesa non armata e non violenta, che adesso esiste nelle forme istituzionalizzate dei corpi civili di pace e del servizio civile, potrebbe trovare nuove espressioni, perché la difesa popolare non armata e non violenta è patrimonio di tutti i cittadini, non solo dei giovani, ma va da 0 a 100 anni. Come mai nel nostro Paese abbiamo strutturato la difesa armata ma non c’è la possibilità per i cittadini che vogliono, di formarsi e ingaggiarsi nella difesa popolare non violenta e non armata? perché quest'altro pezzo non può diventare strutturale, con un registro di coloro che si vogliono volontariamente ingaggiare per la pace?».
C'è qualche paese che ha già un’esperienza del tipo che proponete?
«Il Costa Rica, il Nepal, l'Etiopia, hanno costituito il Ministero della Pace. In altri stati ci sono organismi che si chiamano conferenze di pace. In Costa Rica ci sono i distretti provinciali di pace integrale, sono dei centri dove si fa mediazione, giustizia riparativa, centri di aggregazione importanti per i giovani, dove le competenze sulla pace vengono fornite dallo stato, a livello strutturale, a tutti i cittadini».
Qualche esperienza locale in Italia?
«Da quando abbiamo iniziato la nostra campagna, negli ultimi due anni, girando per i territori, sono nati tanti assessorati alla pace. Cito il Comune di Trapani, che ha istituito le deleghe alla pace, la consulta dei costruttori di pace come organo di coprogettazione e di coprogrammazione. È un'esperienza che è nata l'anno scorso e che sta facendo molto bene e può essere riproposta in tanti Comuni».
Con questa proposta cosa vi aspettate?
«Ci aspettiamo di poter proseguire un'interlocuzione, un dialogo con le strutture di pace e le amministrazioni. Abbiamo anche già pronto un disegno di legge per l’istituzione del Ministero della Pace e sicuramente questa è una tappa importante per poi continuare a portare avanti la nostra advocacy a livello dei decisori politici e soprattutto a livello territoriale, in modo capillare, perché il popolo della pace è molto più ampio del popolo che vuole la guerra».


la scheda
Nel manifesto della Campagna per l’istituzione di un Ministero della pace si ricorda che l’articolo 11 della Costituzione Italiana contiene il quadruplice ripudio della guerra prevedendo: rigetto delle sovranità statuali armate; rigetto della pace negativa; rigetto dell’unilateralismo; la partecipazione attiva al multilateralismo istituzionale per la realizzazione della pace positiva. E, si aggiunge, nel nostro Paese oltre a varie consulte, comitati e osservatori, ci sono diversi dipartimenti che in modi differenti si occupano di attività connesse direttamente o indirettamente alla promozione della pace e alla prevenzione della violenza (Dipartimento Gioventù e Servizio Civile con Delega al Ministro; Politiche Sociali e lavoro; Dipartimento protezione civile; Dipartimento libertà civili con anche competenza Fragilità sociali; Ministero Interno; Dipartimento amministrazione penitenziaria: giustizia riconciliativa; Dipartimento Pari Opportunità; Dipartimenti cooperazione sviluppo). Ciononostante manca una cabina di regia istituzionale che sia in grado di dar corpo a nuovo sistema nazionale per la promozione della pace e per la coesione sociale dei cittadini.
Le aree in cui, in modo trasversale, dovrebbe agire il nuovo Dicastero, sono:
Promozione di politiche di Pace per la costruzione e la diffusione di una cultura della pace attraverso l’educazione e la ricerca, la promozione dei diritti umani, lo sviluppo e la solidarietà nazionale ed internazionale, il dialogo interculturale, l’integrazione.
Disarmo- monitoraggio dell’attuazione degli accordi, dei trattati e delle raccomandazioni internazionali; studi e ricerche per la graduale razionalizzazione e riduzione delle spese per armamenti e la progressiva differenziazione produttiva con la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa.
Stimolazione dei processi di ricerca e di riconversione industriale bellica a fini civili attraverso percorsi che vedano la partecipazione della società civile, degli enti locali (Regione, Province e Comuni), dei sindacati, dei dirigenti d’azienda e di esperti.
Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta, con particolare riguardo ai Corpi Civili di Pace ed il Servizio Civile quali strumenti di intervento nonviolento della società civile nelle situazioni di conflitto ed in contesti di violenza strutturale e culturale.
Prevenzione e riduzione della violenza sociale e culturale, e promozione di un linguaggio libero dall’odio. Qualificazione delle politiche di istruzione rispetto a nonviolenza, trasformazione positiva e nonviolenta dei conflitti, tutela dei diritti umani e mantenimento della pace.
Mediazione sociale, riconciliazione e giustizia riparativa.



