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Quando vince il pregiudizio. Ci pare uno degli insegnamenti che ci arrivano dal caso drammatico di Garlasco. Un ammonimento urticante, che bolla con un marchio negativo l’intero sistema giudiziario e la fiducia già scarsa che in esso ancora possiamo riporre.
«Il biondino dagli occhi di ghiaccio», il bocconiano nerd, era il colpevole perfetto, e un movente, se anche non c’era, si poteva immaginare. Così si sono tralasciati altri indizi, o addirittura prove, che già vent’anni fa potevano essere raccolte e studiate, e non classificate come «di nessuna utilità», come accaduto per l’impronta di una mano sul muro, accanto al corpo esanime di Chiara Poggi, o ai resti della spazzatura del giorno, ai bigliettini e dalle intercettazioni tra amici nel tempo.
Invece nessun dubbio su un gruppo di ragazzi affiatati, di buone famiglie e con buone prospettive future, in un paese che voleva stare tranquillo e dare un nome in fretta al mostro. La sovrapposizione mediatica sul giallo premeva, come preme oggi, ma non basta: qualcuno ha agito con trascuratezza, tra le forze dell’ordine e in magistratura, per superficialità o per calcolo, e in seguito ha ritenuto scomodo e sconveniente confessare l’imperizia, sperando che sia tale. Si è protetto, ha protetto.
Un assassino c’era, in carcere, e dalla sentenza definitiva sono passati dieci anni. Si dirà: l’errore è possibile, la giustizia non è perfetta. Già, lo sappiamo bene. In questo Paese in trent’anni sono stati coinvolti 30 mila innocenti, con la gogna e la tortura di ingiuste accuse. Però quanti magistrati hanno ammesso e fatto ammenda e pagato per il tempo e la serenità rapite? Qualche trasferimento, al massimo, in altre procure.
Però, è vero altrettanto che la tenace e rapida riapertura delle indagini sul delitto Poggi ci conferma che non tutti gli inquirenti e i giudici sono uguali e alcuni non temono di strappare i tendoni polverosi dell’approssimazione o dell’omertà, per amore del vero.
Potremmo poi riflettere su quanto i pregiudizi condizionino anche la nostra vita, le relazioni, e come sia difficile un giudizio libero, tanto che si preferisce per comodità non giudicare, non esprimersi. Invece il giudizio è una facoltà nobile, alta, dell’umano.
L’esercizio della capacità critica è fondamentale per scegliere, decidere, operare nel pensiero e negli atti. Ma si giudica guardando con attenzione la realtà, senza sovrapensieri, senza lasciarsi condizionare da tratti somatici, espressioni, atteggiamenti che ci paiono più o meno morali o in linea con quel che pensiamo noi.
Peggio, senza lasciarsi condurre dal pensiero comune, alimentato da un battage mediatico martellante, che poco a poco si insinua e ci avvolge, portandoci allo stesso giudizio, figlio del pregiudizio. Uno con quello sguardo… Con quel che ha fatto… Con quel modo di vestirsi, di parlare, con quelle frequentazioni.
Vale per i casi di cronaca, per cui tutti ci improvvisiamo criminologi, con curiosità maniacale. Ma vale per il collega, il parroco. Vale per il Papa.
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