Finalmente libera. «L’hanno rilasciata e ora sta tornando a casa», conferma Elshareef Ali, l’avvocato di Meriam Yahia Ibrahim Ishag, la giovane mamma cristiana condannata a morte in Sudan per apostasia e adulterio. La pena capitale è stata annullata lunedì dalla Corte d’appello, ha riferito l’agenzia di stampa di Stato sudanese Suna. «Siamo molto felici e ora stiamo andando da lei», ha aggiunto il legale. La storia di Meriam aveva commosso e indignato il mondo.

La donna, 27 anni, a febbraio era stata messa in prigione nonostante fosse incinta e avesse con sé un bimbo di 20 mesi. Il 15 maggio la Corte di Karthoum poi la condanna a morte per apostasia. Il 27 maggio la giovane donna aveva partorito in cella la figlia Maya.


Qualche giorno fa la Commissione nazionale per i Diritti umani del Sudan aveva definito la condanna a morte di Meriam una sentenza in contrasto con la Costituzione, che prevede la libertà di culto. In precedenza Meriam era stata liberata dalle catene per ordine dei medici.  

Im questi mesi, comunque, il mondo intero si è mobilitato per Meriam. La scorsa settimana i leader politici e religiosi europei hanno lanciato un appello affinchè fosse revocato il «verdetto disumano» pronunciato contro la donna. E Il segretario di Stato americano John Kerry ha invitato Khartoum a «rispettare il diritto fondamentale alla libertà della signora Ishag ad esercitare la sua religione».

In una dichiarazione congiunta, infine i presidenti di Consiglio Herman Van Rompuy, Commissione Josè Manuel Barroso e Parlamento europeo Martin Schulz, assieme ai leader religiosi (cristiani, ebrei, musulmani, indù, sikh e mormoni), avevano sottolineato di recente l'obbligo internazionale del Sudan a proteggere la libertà di religione ed invitato in modo unanime le autorità sudanesi alla revoca «di questo verdetto disumano» e a «rilasciare Meriam con la massima urgenza».
In Italia avevano lanciato appelli per la sua liberazione il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il ministro degli Esteri Federica Mogherini e recentemente anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Molte le organizzazioni internazionali che sono intervenute, da Italians for Darfur ad Amnesty International.

Dagli appelli per la liberazione della donna si è allontanato il fratello di Meriam: «Se non si pente e non si converte all'Islam, deve morire», aveva detto in una dichiarazione shock. «Ora per lei è meglio andare negli Stati uniti, dato che suo fratello ha detto che l'avrebbe uccisa» in caso di annullamento della sentenza, ha detto al Daily Mail Safwan Abobaker, attivista del gruppo Hardwired. «Il governo sudanese deve proteggerla e l'ambasciata americana in Sudan deve trovare un modo per portarla in Usa» ha aggiunto.

Il marito di Meriam, Daniel Wani, è cristiano e cittadino statunitense dal 2005. La Corte d'appello aveva iniziato l'esame del caso l'8 giugno: secondo gli avvocati, la liberazione sarebbe stata possibile soltanto con la sentenza d'appello. Ora quel verdetto è finalmente arrivato. Meriam può tornare a vivere da persona libera.