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La Chiesa è missionaria o non è. «Il mondo ha bisogno della luce di Cristo. L’umanità necessita di Lui come il ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore». Papa Leone ribadisce ciò che è magistero, dottrina, tradizione e storia della Chiesa fin dalle sue origini. Missione significa andare, perché “mandati”, ad annunciare la buona novella, ad essere testimoni della grazia ricevuta. Che è Gesù, via, verità e vita. Ed è bello, giusto e normale desiderare che questa via verità e vita siano incontrabili per tutti. Perché solo Gesù è la risposta al desiderio di felicità, giustizia, bellezza per l’uomo.
Solo Gesù compie l’anima, dà senso a ciò che pare insensato, sostiene la speranza e la carità. Solo Gesù corrisponde davvero al mio essere. Allora essere missionari non significa innanzitutto essere buoni o essere bravi a “fare le cose”. Ma portare la novità e la presenza di Cristo e, quindi, essere segno di questa presenza, vicini ai fratelli nei loro bisogni quotidiani. Essere una scheggia colorata e trasparente che fa brillare la magnifica luce nelle vetrate delle cattedrali, ricordava con un bellissimo esempio papa Francesco.
Si è missionari poi, in conseguenza, per una grazia ricevuta e si è missionari tutti, religiosi e non, grandi e piccini, a volte senza saperlo, «anche con le parole», ammoniva i suoi frati san Francesco, perché spesso le parole sono superflue, se la vita trasfigurata, con-vertita si vede e diventa pro-vocazione, cioè chiamata, per altri. Ora, il mondo globalizzato si è allargato e incredibilmente ristretto, fino a contenersi nel riquadro di uno smartphone. Il virtuale spesso soppianta la realtà in una rete che ci pare dispiegarsi all’infinito, eppure ha lacci e barriere ben definite: ci muoviamo, ci agitiamo, convinti che il mondo sia in essa racchiuso. Che nelle maglie di questa rete si possa discutere, capire, incontrare, tessere legami, amare, guadagnare, perdersi. Se la rete è un pezzo di mondo, allora è spazio per l’uomo toccato dalla fede, è luogo per essere missionari. Ma il termine ormai sdoganato di “missionari digitali” può essere ingannevole: non può fare a meno della carne dell’uomo, della vita concreta, del sorriso e delle lacrime, di mani che si stringono, ferite da disinfettare e curare, dell’incontro.
Bene allora pillole di catechesi. Racconti di vite cambiate. Spiegazioni della parola di Dio, delle vite dei santi. Volti che testimoniano pellegrinaggi, opere educative, di carità, ma soprattutto la forza dirompente, la fantasia della fede. Storie che allargano il cuore e la testa a mondi lontani, dove il buon Dio, qui da noi come dappertutto e da sempre, si vede e si tocca e cambia la vita. Questa è missione digitale, è servizio, bene diffuso. Non i balletti su TikTok, non la proposta di sé in risposte presuntuose a ogni domanda, non l’illusione che basti un aggancio in rete che non indichi una strada concreta, dei volti, una casa in cui accogliere e annunciare.
In collaborazione con Credere
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