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Entrano in processione, tutti con un casco bianco in testa, anche l’arcivescovo di Parigi Michel Aupetit, sicurezza oblige. Sono quattordici sacerdoti e una ventina di fedeli tra cui alcuni degli operai che lavorano nei cantieri. Si celebra la festa della Dedicazione, che ricorda – come avviene per ogni altra chiesa – l’atto con cui la Basilica di Notre-Dame è stata consacrata e destinata al culto, nel XII secolo. Una messa vespertina senza suoni di campane, senza cori imponenti, in tono dimesso, ma con un raccoglimento e un’emozione ben visibili sul volto dei celebranti e dei pochi fedeli ammessi nella cappella dei Cavalieri del Santo Sepolcro, dietro l’altare principale. Qui si custodiva la preziosa reliquia della corona di spine, quella stessa che secondo la tradizione i carnefici posero per scherno sul capo di Gesù durante la sua Passione, e che si è salvata dallo spaventoso rogo del 15 aprile scorso.
«La cattedrale è ancora viva, essa è nata dalla fede dei nostri antenati», ricorda l’arcivescovo nell’omelia. «Essa manifesta la fiducia nella bontà di Cristo, nell’amore più forte dell’odio». Ma è nata anche – aggiunge – dalla speranza in un progetto magnifico «al servizio di tutti» e dalla carità, perché essa è «il rifugio dei poveri e degli esclusi che vi trovavano protezione». Poi, a sottolineare questa funzione di accoglienza, discostandosi dal testo ufficiale, cita il grido di Quasimodo, il gobbo sagrestano del romanzo di Victor Hugo, Notre-Dame de Paris: «Asilo! Asilo!».
Ora i fedeli intonano l’ultimo canto e lo sguardo va alla navata centrale, a cielo aperto, con le colonne annerite dal fuoco, le suppellettili bruciate, le macerie, i telai vuoti delle opere d’arte portate in salvo al museo del Louvre.


Le lacrime dei fedeli per il rogo
Erano le 18 e 50 quel 15 di aprile, quando le fiamme sprigionatesi nel sottotetto cominciarono a divorare la «foresta» del XIII secolo, le capriate di legno per la cui costruzione furono necessarie mille e trecento querce. E poi a distruggere l’intero soffitto e far crollare la flèche, la guglia centrale lunga novantatré metri, ottocento chili di peso, con le reliquie di santa Genoveffa, patrona di Parigi. Lungo la Senna o per le strade del quartiere Latino, parigini e turisti guardavano stupefatti il terribile spettacolo. Molti piangevano perché con Notre-Dame non bruciava soltanto la chiesa di pietra, ma un simbolo, il cuore della città, teatro di eventi storici, dall’incoronazione di Napoleone a imperatore al Te Deum per la liberazione di Parigi dai nazisti, e di tanti altri, piccoli e grandi, eventi personali, storie di fede e di devozione popolare.
E il legame affettivo con la cattedrale si manifestava subito nei raduni di preghiera improvvisati, nei canti e nel fervore dei giovani davanti alla fontana Saint-Michel, per le strade e nelle chiese vicine. Un’ondata di emozione tradottasi in uno slancio planetario di generosità, con la promessa di doni per un totale di circa ottocentocinquanta milioni euro. Due mesi dopo, è stato raccolto soltanto il dieci per cento dell’intera somma. Ma non vi è nulla di preoccupante, fanno sapere al ministero della Cultura, sono tempi normali, soprattutto per il trasferimento delle ingenti somme donate dai giganti del lusso e della grande distribuzione Pinault (duecento milioni di euro) e Arnault (cento milioni).
Macron: «Ricostruzione entro cinque anni»
«Notre-Dame sarà ricostruita entro cinque anni», ha promesso subito dopo l’incendio il presidente francese Macron. A giudicare dalle prime dispute tra architetti e altri addetti ai lavori, di anni, forse, ce ne vorrà qualcuno in più. Ma ora, come per tagliar corto a ogni polemica, l’Arcivescovo dice che la cattedrale non è soltanto un’opera d’arte, un grandioso monumento, ma un luogo di culto e che non si può separare la cultura dal culto. Parole che suonano come una smentita per alcuni progetti di restauro più o meno o stravaganti: c’è chi ha proposto – e sembra uno scherzo – di costruire sul tetto una piscina en plein air o un giardino. Alla fine della Messa, il momento forse più commovente: la consegna di una Croce di pietra, dono dei cristiani di Aleppo, a ricordo di tutte le chiese distrutte da altri incendi, quelli delle guerre che insanguinano il pianeta.



