Tra gli accademici in toga e tocco quasi scompariva, piccolo e incurvato dagli anni, eppure lo sguardo era quello del Taturapua, l’animaletto corazzato e vispo che gli amici Guaranì hanno eletto a suo alter ego. Padre Tarcisio Ciabatti (nella foto con monsignor Rodolfo Cetoloni, vescovo emerito di Grosseto), missionario francescano in Bolivia, ha ricevuto, il 26 ottobre scorso, la laurea honoris causa dell’Università autonoma “Gariel René Moreno” per il suo servizio alla causa del popolo guaranì. Un riconoscimento laico a una vita spesa in pienezza, intessuta di umanità e spiritualità. Padre Tarcisio, ultraottantenne, dagli anni Settanta porta avanti la sua missione in Bolivia. Vi era arrivato dopo un’esperienza nel Varignano, quartiere
periferico di Viareggio popolato da immigrati interni, già forgiato dal Catechismo e da Lettera a una professoressa di don Milani. La visione profetica e rivoluzionaria del prete toscano è il bagaglio che porta nel suo primo incarico in Bolivia, parroco a Gutierrez, sulla arteria panamericana che da Santa Cruz de la Sierra porta verso l’Argentina. Senza mai rompere i legami con la terra d’origine, si immerge nella cultura locale, condividendo attese, difficoltà e speranze delle comunità guaranì.
Nella terra di Che Guevara percorre negli anni milioni di chilometri di terra battuta per portare la Buona Notizia del Vangelo agli indigeni, a bordo della sua Toyota, educando generazioni di uomini e donne. Un lavoro paziente e costante per la dignità di gruppi etnici emarginati ed umiliati dai Karai, i bianchi. Il titolo conferito dalla Facultad Integral del Chaco è il sigillo all’impegno a favore della causa del popolo guaranì, portato avanti senza alterarne identità e tradizione, ma fornendo strumenti per la consapevolezza della propria storia e delle innegabili potenzialità. Formazione e cura della salute i campi in cui Padre Tarcisio ha svolto la sua missione: sin dai
primi anni Ottanta si è occupato del Convenio de salud , la convenzione con il Governo boliviano per la gestione dell’Ospedale di Camiri, migliorando struttura e servizi, cercando di coniugare standard sanitari con l’attitudine alla “cura dell’altro” propria della cultura tradizionale. È sua l’intuizione di una scuola per infermieri di etnia guaranì, il Tekove Katu, che formasse giovani in grado di creare un
collegamento tra strutture sanitarie e comunità di origine, senza alterare il nande reko, il modo di essere degli uomini e le donne guaranì, ma anzi esaltandone i valori e la diversità. Un esempio perfetto di inculturazione, di annuncio rispettoso del contesto e della cultura indigena, di missionarietà nel segno di San Francesco. Non solo l’instancabile Padre Tarcisio è stato capace di instaurare rapporti e
collaborazioni con eccellenze italiane, come la Facoltà di Malattie infettive di Firenze, in modo da fornire stimoli e competenze esterne ai suoi studenti, tanto da impressionare non solo il Ministero della Salute Boliviano, ma anche strutture come l’Università di Camiri, una realtà non sempre ben disposta verso realtà ecclesiali. È indubbio l’apporto che il missionario francescano ha portato al miglioramento della salute popolare in America Latina, senza rinunciare a una testimonianza limpida del Vangelo. Oggi la gente del Chaco è in festa come quella di Dama, il paese d’origine sotto la Verna di Padre Tarcisio. Taturapua è ancora lì tra i suoi amici Guaranì, nella “sua” Bolivia, dottore in umanità e amore, ancora totalmente coinvolto nel mostrare la bellezza di una vita dedicata a Dio e ai fratelli