(nella foto, suor Clara Bilardi, una delel missionarie morte per aver contratto l'Ebola che verranno beatificate)

Marzo è tradizionalmente il mese dedicato alla memoria dei missionari martiri. Proprio il 24 marzo del 1980, mentre celebrava Messa, veniva assassinato a San Salvador monsignor Óscar Arnulfo Romero. Per la ventinovesima Giornata di preghiera e digiuno in loro memoria, che cade nel giorno del martirio di Romero, quest’anno la fondazione Missio della Conferenza episcopale italiana ha scelto lo slogan «Vite intrecciate». Infatti, i missionari e le missionarie che operano nelle periferie geografiche ed esistenziali del nostro tempo sono chiamati a essere, per vocazione, tessitori di fraternità. La loro vita si intreccia con quella dei popoli che servono con zelo e dedizione, rispondendo alle istanze poste da papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti. Lungi da ogni retorica, mai come oggi è necessario evangelizzare una società globalizzata, provata non solo dal famigerato Covid-19 e da una crisi economica senza precedenti nella storia moderna, ma soprattutto da una deriva antropologica per certi versi molto più inquietante per le sue immediate ripercussioni sulla persona umana creata a immagine di Dio. 

È vero che quanti hanno provato lo choc della precarietà o l’angoscia delle tragiche ambiguità impresse dagli avvenimenti si accostano più di altri al mistero di Dio, ma oggi si impone l’urgenza di testimoniare le verità evangeliche a tutti, animati dall’intento di renderle intelligibili al mondo intero.

San Paolo VI nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi scriveva che «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». Il cristianesimo, d’altronde, è una religione che non si limita a enunciare i valori, ma esige che essi vengano autenticamente testimoniati, non ammettendo la separazione tra princìpi enunciati e incarnati. È proprio per questa ragione che la testimonianza della missionarie della congregazione delle Poverelle di Bergamo, morte eroicamente ventisei anni fa nella città congolese di Kikwit mentre imperversava l’epidemia di Ebola, è motivo di edificazione per tutti. L’annuncio del riconoscimento delle virtù eroiche di tre di loro (suor Floralba Rondi, suor Clarangela Ghilardi e suor Dinarosa Belleri) delle sei che componevano il gruppo dilata la testimonianza soggettiva rendendola intelligibile nella comunione. Il bene condiviso, infatti, nella millenaria storia della Chiesa, trova risonanza a qualsiasi latitudine. Ecco perché il riconoscimento del sacrificio dei martiri dovrebbe indurci a comprendere che tutti, in forza del Battesimo, siamo chiamati alla santità nel servizio ai poveri che, come ricorda papa Francesco, «sono la Carne di Cristo».