A volte l’alba sembra un nugolo di mosche. Allunghi la mano – si ritrae, si ricompone, punge.

Con crudeltà ho scritto un romanzo sul Papa.

Comparai la rinuncia di Benedetto XVI a quella di mio padre, che si è ucciso quando avevo dieci anni. Di certo la sua scelta ha influito sulla mia vita, la ha invasa, ha impregnato la vita dei miei figli. Anche i miei eredi, che non conosco, che non conosceranno la morte di mio padre, saranno coinvolti in quella scelta. Da quando mio padre è morto, finché non si estinguerà questa stirpe stretta come un torrente, siamo gente che mendica amore, terrorizzata dal fatto che un uomo possa morire per un tradimento. C’è chi, in questa estenuante ricerca di amore, semina sofferenza, porta la morte.

Nel romanzo, feci coincidere la storia di Benedetto XVI con quella di mio padre – come se un suicida possa orientare le azioni di un santo. Entrambi, mi sembra, hanno compiuto un gesto nitido e nudo, lasciando agli altri, a chi resta, il compito di realizzare la loro vita, di concluderla. Mio padre è tra i morti – Benedetto XVI prega per i vivi come fosse già morto. 

Dentro il vento che trascina le piogge, bianche come fuoco, ci guardano, stretti, i suicidi. Sembrano giaguari...



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